A trent’anni dal suo debutto sulla scena rap, Neffa torna a parlare di sé in rima, con una nuova ballotta al suo fianco
«Se riavvolgo il nastro per tornare al punto di partenza, mi rendo conto che l’inizio di tutto non è stata una decisione, ma l’aver sentito che, ancora una volta, qualcosa nella musica mi stava ridefinendo, anche come persona»
Con questa riflessione Neffa apre il sipario su Canerandagio Parte 1, un album che si configura come un percorso di ricerca identitaria, espresso attraverso una scelta precisa: adottare un formato corale, che integra voci e visioni della scena contemporanea.
In un contesto in cui la collaborazione è sempre più centrale nella produzione musicale italiana, Canerandagio Parte 1 si inserisce in una tendenza che supera il semplice featuring. Come già sperimentato in OBE e MĀYĀ di Mace, anche in questo progetto la visione autoriale del produttore si intreccia con le interpretazioni di un mosaico di artiste e artisti, generando narrazioni collettive e stratificate.
In questo nuovo progetto, Neffa riprende in mano il timone creativo con una rinnovata consapevolezza. L’album si presenta come un’opera aperta, in cui l’artista accoglie il contributo delle nuove leve lasciandosi influenzare nei registri espressivi. Una scelta che richiama, per certi versi, l’operazione di reinterpretazione collaborativa compiuta dai Subsonica con Microchip Temporale.
Giovanni Pellino – nome all’anagrafe di Neffa –, d’altronde, si è sempre esposto a generi musicali diversi: da batterista nei gruppi punk hardcore (Impact, Negazione) adottando lo pseudonimo di Jeff Pellino, ai primi passi nel mondo del freestyle con il collettivo bolognese Isola Posse All Stars. Poi il progetto con i Sanguemisto e i primi album solisti – Neffa e I Messaggeri Della Dopa (1996), 107 Elementi (1998), Chico Pisco (1999) – lo consacrano tra le figure più influenti dell’hip-hop italiano.
Arrivano quindi gli anni Duemila e Neffa cambia ancora registro: prima con Arrivi e Partenze (2001) inserisce sonorità pop, soul, jazz, blues, reggae, psichedelia e funk; poi nella sua fase più cantautoriale con I Molteplici Mondi di Giovanni, Il Cantante Neffa (2003), Alla Fine Della Notte (2007), Sognando Contromano (2009), Molto Calmo (2013) e Resistenza (2015). E ora, a distanza di quattro anni da AmarAmmore – un omaggio alle sue origini partenopee –, cosa metterà questa volta sul piatto?
L’apertura dell’album è affidata a Littlefunkyintro, traccia che dà il là a tutto il progetto, un messaggio-manifesto in cui Neffa proclama con meritata tracotanza il suo ritorno in una scena che, se pur mutata, continua a riconoscerlo come maestro. Proseguendo nell’ascolto, non mancano riferimenti, più o meno espliciti, ai dischi precedenti: in Canerandagio, Izi cita alcuni versi tratti da Aspettando Il Sole e in TROPPAweed (feat. Noyz Narcos) riemerge il legame dell’artista con l’erba. Ma qualcosa è cambiato nel registro: la leggerezza della dopa ha lasciato spazio a un’introspezione più cruda, che risuona come una botta in testa o un regolamento di conti interiore.
Scenari grigio piombo si dipanano anche da Bufera (feat. Franco126), Cuoereapezzi (feat. Guè & Joshua) e nel già citato Canerandagio (feat. Izi): come dei Caronti infelpati e incappucciati di nero, gli artisti sembrano traghettarci nei bassifondi urbani e della coscienza, in un viaggio che spazia tra incubi notturni e patti con il diavolo. È interessante notare come la trama di Canerandagio si adatti anche alla storia personale di Izi: classe 1995, il rapper genovese aveva raccontato alle Iene di essere scappato di casa e aver vissuto per strada quando aveva diciassette anni.
Un brano che spicca al primo ascolto è Hype (nuoveindagini), complici un beat più vivace rispetto alle tracce precedenti e l’intuizione – non scontata – di mettere insieme Fibra e M¥SS KETA. Ne viene fuori una riflessione sulla superficialità dell’apparenza, che si traduce in un pezzo accattivante e bilanciato in cui spicca la verve singolare di tutte le tre voci. Altro featuring azzeccato quello di Argiento: per questo pezzo, prodotto a quattro mani con Lucariello, Neffa ha scelto di cimentarsi con la scrittura rap in napoletano, una lingua che definisce un vero e proprio modo di sentire la musica. A suggellare il tutto l’intervento di STE, giovane voce della scena urban partenopea, che con il suo timbro capace di «mandare in distorsione il microfono» restituisce al brano una vibrazione viscerale.
Meno incisivi i feat con Frah Quintale, Joan Thiele & Gemitaiz, Ele A & Francesca Michielin: il ritmo si fa meno cupo, ma non riesce a generare un vero contrappunto emotivo, finendo per appiattire la tensione emotiva innestata fino a quel momento. Non si tratta tanto di brani deboli in senso assoluto, quanto di episodi in cui l’urgenza espressiva sembra cedere il passo a formule più sicure. Come se, nel tentativo di mantenere compatta la narrazione, si fosse abbassata l’asticella del rischio, rinunciando a quelle frizioni che rendono alcuni pezzi memorabili.
In Canerandagio Parte 1 emerge un Neffa diverso da quello che conoscevamo: i modi naïf da guaglione, sia rapper che cantante, e la spinta funk che riusciva a rendere consolatori anche i testi più sconsolati restano un ricordo. Il disco non riesce a soddisfare del tutto i nostalgici degli anni ’90 e, allo stesso tempo, non osa abbastanza per sorprendere davvero. Un ritorno tiepido, che lascia aperto uno spiraglio: sarà forse la Parte 2 ad alzare l’asticella? Staremo a vedere.