Il secondo appuntamento con il Club To Club di Torino, edizione 2024, è un crocevia di atmosfere differenti e suggestioni contrastanti. Tra artisti internazionali e show esclusivi – tra cui spiccano Darkside e l’esordio del progetto Vodoo Poople di Mace –, il festival più atteso del capoluogo piemontese entra nel vivo del weekend: forse incerto nella direzione, ma mantiene la sua qualità
Varcare le soglie del Lingotto Fiere nel weekend del Club To Club è come entrare in un altro mondo. Un mondo parallelo, sospeso nello spazio e nel tempo, in cui tutto può succedere. Al suo interno, puoi incontrare ogni tipologia di persona, di ogni età, in un ventaglio di infinite personalità differenti. E se tutto questo è già di per sé inscritto nel patrimonio genetico di uno dei festival più importanti di Torino, risulta ancora più evidente in una serata come quella di Venerdì 1 novembre, cadenzata da una line up più che mai eterogenea e – nel bene e nel male – poco coerente nella sua offerta musicale.
La continuità, tuttavia, è garantita dalle ambientazioni suggestive, dalle atmosfere oniriche e immersive che da sempre il c2c è in grado di evocare fin dal primo ingresso nella struttura, accompagnando i suoi visitatori in questa nuova, strana e affascinante dimensione parallela, fatta di nebbia, notte e luci di lampioni.
Due le sale a disposizione: da un lato il Main Stage, dedicato ai grandi nomi, ai concerti più performativi e, in un certo senso, alle sonorità più avanguardiste; dall’altro lo Stone Island Stage, destinato al clubbing più tradizionale, presidiato in questo caso da Ben Ufo, Pangea e Pearson Sound. A connettere le due sale, due lunghi corridoi tinteggiati da un caleidoscopico gioco di luci e riflessi.
Ad aprire la strada di quello che si prefigura come un tortuoso percorso musicale attraverso i generi più disparati è l’ambient disteso e rilassato di Kali Malone, che predispone il pubblico all’ascolto e al coinvolgimento emotivo. Spicca, subito dopo, il debutto italiano di Nala Sinephro, che se da un lato prosegue idealmente le sonorità ambient di Malone, dall’altro se ne differenzia, virando stretto sui territori del jazz: ora soffice e delicato, grazie ai solismi dell’arpa di Nala; ora libero e scatenato, dominato dai fraseggi crossover del sax tenore di Chelsea Carmichael. L’artista, accompagnata sul palco anche da Dwayne Kilvington ai “bassi” synth ed Edward Wakili-Hick alla batteria, porta in scena il suo ultimo lavoro, Endlessness: un concept album d’immersione sonora le cui singole parti – definite in tracklist con il nome di Continuum – spiccano per l’incursione del sintetizzatore modulare, costante e ostinato ma in continuo divenire, come parte di un processo meditativo.
Con Sega Bodega arriva il primo brusco cambio di rotta, che ribalta le sonorità ma, di fatto, richiama a sé la prima grande folla della serata. L’artista cileno, all’anagrafe Salvador Navarrete, travolge la sala con l’impatto dei suoi bassi penetranti, in un linguaggio sonoro che sembra attingere all’estetica dell’epica norrena, a tratti ultraterrena, riattualizzata per mezzo di loop elettronici incisivi e colpi di kick rapidi e frequenti. Di recente esposto ai riflettori del palcoscenico – fino a poco tempo fa preferiva operare live dietro le quinte –, la sua presenza scenica appare statica e la sua voce si avverte flebile come un sussurro, sommerso da un comparto sonoro che risulta invece davvero pieno, intricato e forse – complice la dispersione sonora della location – a tratti ingombrante.
Ma Sega Bodega piace: la folla si dimena e la temperatura del Lingotto Fiere comincia a salire in modo esponenziale.
Dopo un’ulteriore inversione a U, si torna alla contemplazione: Darkside è la vera rivelazione della serata. Il progetto, nato dall’estro di Nicolas Jaar in collaborazione con il polistrumentista newyorkese Dave Harrington, seduce subito per le sue atmosfere, cupe – come suggerisce il nome della band – ma al tempo stesso sognanti, in un’ambientazione sonora che troverebbe il suo corrispettivo cinematografico nel cinema di David Lynch. Jaar, ai synth e alle tastiere, dirige l’immersione sensoriale mentre Harrington, alla chitarra, ne scandisce le cadenze ritmiche, con fraseggi puliti e puntuali, ripetuti come un mantra. Tlacael Esparza, alla batteria, completa la formazione, interpretando bene le suggestioni dei due musicisti: tanto nei vuoti dilatati, quanto nei lunghi crescendo e nelle improvvise esplosioni strumentali, che quasi strizzano l’occhio – se pur molto da lontano – agli influssi del prog rock.
Con Arca, principale headliner della serata, riemerge più chiara che mai una delle problematiche principali della location, che ogni anno si ripresenta in maniera differente a seconda del set up presente sul palco: l’acustica. Scenicamente di grande impatto, l’artista venezuelana si divora il palcoscenico – che presiede in solitaria – ma, tuttavia, il suono arriva al pubblico piuttosto confuso, disperso tra le architravi della grande sala che le fa da sfondo. Malgrado questo, la folla si riversa sul parterre e riempie ogni spazio disponibile. In fondo alla grande sala, di fronte e ai lati dello stage: tutti quanti sono lì per lei, travolti da quella virtuosa alchimia di elettronica e raggaeton, impressa di influenze pop, hip-hop ed elettro-dance.
A chiudere l’evento è Voodoo People, l’esordio esclusivo di Mace, uno degli artisti – e produttori – più importanti nel panorama italiano odierno. Malgrado si vociferasse di un avvistamento di Venerus e Gemitaiz nelle sale del Lingotto a inizio serata – che ben facevano sperare a una performance live sulle orme di Māyā, ultimo disco del beatmaker milanese –, l’artista porta in scena un live set differente. Il progetto si distingue per i bpm elevati – quasi senza respiro, almeno nella prima parte dello show – e per la complessità delle composizioni, che spaziano per le influenze musicali più diverse. Tra tutte, l’estetica delle sonorità hip-hop, che a tratti richiama alla mente lo stile unico di Flying Lotus, ospite proprio al C2C nell’edizione dello scorso anno. A corredo di ciò, uno spettacolo visivo immersivo e affascinante ispirato all’immaginario tribale delle popolazioni Maya, trasmesso sugli schermi che circondano la sala.
In conclusione, il Club To Club si riconferma uno dei festival più importanti del panorama italiano – e non solo –, anche e soprattutto per l’audacia dei nomi proposti. Tuttavia, se da un lato è vero che aprire il ventaglio a sonorità così differenti tra loro predispone il pubblico alla possibilità di nuove scoperte musicali, dall’altro, il rischio è quello di spezzarne l’immersione sensoriale, minacciata da un cambio di rotta frequente e decisivo. In più, forse è mancato un vero grande nome nella line up del venerdì, ma l’offerta resta di livello, mai scontata e mai banale.
E poi, in fondo, siamo solo all’inizio: questa sera, l’appuntamento è ancora al C2C.