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Brunori Sas: azienda leader nel mercato delle emozioni

Il cantautore cosentino è un attivatore di sentimenti come pochissimi altri sulla scena. Da una canzone all’altra può farti urlare, ballare, ridere, piangere, stringere e baciare la persona amata. Peccato per il violento temporale abbattutosi sul Parco della Certosa di Collegno che ha costretto l’organizzazione a mettere fine anzitempo all’esibizione di Brunori al Flowers Festival. Tanti applausi anche per l’opening act di Mille


Ore 23.30. Dalla postazione di chi vi scrive, posta a pochi centimetri dal mixer audio/luci, si sente distintamente la voce di un tecnico addetto al palco: «Dario, è arrivata una comunicazione della Prefettura. Facciamo l’ultimo brano poi dovete scendere tutti dal palco. Questioni di sicurezza». Tutto intorno è un coro di «nooo» che si propaga velocemente a macchia d’olio nel momento in cui Brunori riporta al suo microfono il messaggio arrivatogli nell’auricolare. Da una buona mezz’ora il cielo aveva cominciato a regalare piacevoli – visto il periodo di caldo infernale – gocce d’acqua cadenzate, ma nei minuti precedenti all’annuncio, durante l’esecuzione di Sabato bestiale, la precipitazione si era trasformata in evento torrenziale, corredato da inquietanti lampi sempre più in prossimità dello spiazzo delle Lavanderie a vapore del Parco della Certosa di Collegno, sede del Flowers Festival.

Nessuna paura tra il pubblico, anzi. Una risposta stoica: restiamo fino all’ultimo secondo, bagnati sì, bagnati no, parafrasando un certo ministro. In realtà bagnati tantissimo. Probabilmente a quasi nessuno dei presenti sarà mai capitato di restare esposto così a lungo – considerando anche le laboriose operazioni di deflusso e ricerca del proprio mezzo di trasporto – ad una cascata atmosferica simile. Vuoi mettere, però, farlo durante l’esecuzione di Canzone contro la paura? Le braccia del pubblico ancora più protese al cielo, le parole gridate ancora più forte. Dario sorride, è davvero colpito da cotanta attestazione d’amore da parte dei suoi Brunoriani e chiude così, regalando una licenza poetica all’interno della poesia: «ma non ti sembra un miracolo / che in mezzo a questo dolore / in mezzo a questo TEMPORALE / a volte basta una canzone / anche una stupida canzone / solo una stupida canzone / a ricordarti chi sei».

Un finale bellissimo e intenso comunque, quasi un segno del destino: se proprio si è costretti a staccare, meglio farlo dopo l’esecuzione di uno dei pezzi più amati. Certo, resta un po’ di amaro in bocca tra i fedelissimi, che già pregustavano una serie di bis iconici, tra i quali con ogni probabilità Guardia ’82, La verità e L’albero delle noci, title track dell’ultimo album uscito lo scorso San Valentino, nonché brano che si è piazzato al terzo posto all’ultimo Festival di Sanremo.

Anche se con una destinazione finale inattesa, il viaggio è stato comunque emozionante. Brunori ha attraversato i suoi sedici anni di carriera ufficiale – se vogliamo considerare come abbrivio la pubblicazione di Vol. 1 del 2009 – attingendo da tutti i suoi sei album, alternando momenti di tenerezza a veri e propri inserti di stand-up comedy, rispolverando canzoni lontane nel tempo come Come stai, Italian dandy e Lei, lui e Firenze e rievocando momenti di vita familiare persi negli anni ’80, durante quei Pomeriggi catastrofici da zia Giulia a Guardia Piemontese, dove il piccolo Dario si rifocillava con badilate di pasta al forno, polpettone e baccalà, mentre gli adulti si abbandonavano sul divano con sigaretta, cynar e radiolina, dalla quale riecheggiavano le voci di Enrico Ameri, Sandro Ciotti e tutta la mitologica compagnia di Tutto il Calcio minuto per minuto.

Andamento ondulatorio e sussultorio, alternanza dell’alto («Hai notato che gli argomenti / sono sempre più o meno quelli / “rubano, sporcano, puzzano e allora / olio di ricino e manganelli” / Hai notato che parla ancora / di razza pura, di razza ariana / ma poi spesso è un po’ meno ortodosso / quando si tratta di una puttana», L’uomo nero) e del basso, se così vogliamo chiamare i suoi dissacranti inserti comici, che hanno la duplice valenza di far rifiatare la band e allentare la tensione emotiva dopo brani particolarmente intensi: «Non ho mai capito perché gli artisti sul palco debbano urlare in ogni città “Grazie Torino, Firenze, Roma!”, come se davvero tutta la città potesse rispondere. Vabbè dai, è che in fondo a voi un po’ piace essere massa, dite la verità!» oppure «Avete notato il movimento di bacino che ho fatto durante ‘sto pezzo? Praticamente io sono il Roberto Bolle del cantautorato. Però vestito da Indiana Jones».

Il personaggio è così, un istrione vestito da cantautore old school. Anzi, come ebbe a dire mesi fa intervenendo al podcast Tintoria, da membro della (fantomatica) Associazione Cantautori Italiani, il cui statuto impone agli associati di indossare una giacca di velluto scuro rigorosamente con le toppe ai gomiti. Poi, un secondo dopo, ti sta facendo piangere a dirotto – no, stavolta la pioggia non c’entra – ricordando il Natale senza papà Bruno (Come stai) e i concitati istanti prima della nascita della piccola Fiammetta (Guardia Giurata), meraviglioso suggello di un amore tra due persone che si sono scelte e sono state bravissime a non perdersi mai («Perché ci vuole passione / dopo vent’anni a dirsi ancora di sì / e stai tranquilla, sono sempre qui / a stringerti la mano / ti amo / andiamo», Per due che come noi).

In definitiva, L’albero delle noci Tour è un’esperienza totalizzante, dove l’operosa società in accomandita semplice Brunori è in grado di proporre ai propri fedelissimi clienti un vasto campionario di emozioni in due ore di spazio espositivo, alla presenza di uno straordinario direttore commerciale di origini calabresi e di un reparto marketing di tutto rispetto, che in azienda ama definirsi Piccola Orchestra sas. Si tratta di otto elementi diretti da Riccardo Sinigallia e rispondono al nome di: Stefano Amato (basso elettrico, violoncello e mandola contralto), Dario Della Rossa (pianoforte, piano elettrico, sintetizzatori), Simona Marrazzo (voce, solina, percussioni), Mirko Onofrio (sax alto, flauti traversi, clarinetto basso, vibrafono, synth, cori), Max Palermo (batteria e percussioni), Luigi Paese (tromba e flicorno soprano), Gianluca Bennardo (trombone e flicorno baritono) e Lucia Sagretti (violino, viella, voce, theremin).

Se volete staccare un po’ la testa, se volete dimenticare per un attimo tutte le storture di un mondo sempre più in crisi – sociale, ambientale, economica e politica – affidatevi alla Brunori sas, l’azienda che «con il canto prova ad uscire dal disincanto».

P.S. Un doveroso plauso va fatto a Elisa Pucci, in arte Mille. Il suo è stato uno show di apertura solare e divertente, in grado di catalizzare l’attenzione del pit con la sua verve da consumata frontwoman e questo suo particolare timbro vocale, che all’occorrenza rievocava ora Antonella Ruggero, ora Anna Oxa e a tratti Patty Pravo. I brani proposti sul palco del Flowers sono il frutto del suo primo album in studio, Risorgimento, titolo scelto non a caso, data la perfetta aderenza al suo nome d’arte. Nelle sue canzoni si parla con spensieratezza e ironia di quotidianità, relazioni, amore, sesso e, perché no, sedute di analisi con la sua psicoterapeuta (Brava Simona), in un continuo manifesto alla vita da vivere sempre senza mai essere sazi, sintetizzata perfettamente nel singolo C’est fantastique.

Spero che Mille voglia scusare l’autore: la particolare modalità con la quale si è chiuso il concerto di Brunori ha stravolto i piani anche nella stesura di questo racconto e, come si usa dire in gergo giornalistico, si è imposta alle cronache meritandosi l’apertura.

 

foto di Michela Talamucci 

Attila J.L. Grieco

Giornalista, cantante, esperto di comunicazione. Ma ho anche dei pregi, come essere riuscito a farmi battezzare Attila, nascere nell'anno di uscita dell'omonimo e celeberrimo film e condividere con il suo protagonista capigliatura, giorno del compleanno e squadra del cuore.

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