Un’ondata di band sfida l’estremismo e il machismo del Black Metal con messaggi queer, testi dissacranti e comunità accoglienti. Tra resistenza e provocazione, questo genere si riscopre luogo di liberazione e orgoglio, riscrivendo la propria storia con nuove sfumature. Ripercorriamo, a pochi giorni dal Pride Month, la storia del lato più inclusivo – ma non per questo meno spietato – del Black Metal
«Black metal ist krieg», il black metal è guerra, gracchiava nel 2001 la voce di Kanwulf, leader dei Nargaroth. Una frase che è diventata a pieno titolo un simbolo di un genere nato e maturato tra i boschi norvegesi, nei fiordi e sulle montagne innevate. Un genere che non ha mai brillato per inclusività e che, durante la sua storia, ha fatto parlare di sé spesso più per i suoi fatti di sangue che per la musica stessa, basti pensare ai fatti legati al cosiddetto Inner Circle, ai frequenti omicidi e suicidi e alle sparate estremiste di Burzum. A tal proposito, un aspetto particolarmente problematico è la diffusione all’interno della scena del National Socialist Black Metal (NSBM), una corrente dove suprematismo bianco, omofobia, antisemitismo e distorte e bislacche riletture della mitologia nordica e della letteratura fantasy si fondono in un mix nazistoide e decisamente pericoloso.
Tuttavia, negli ultimi anni, una nuova ondata di artisti sta silenziosamente ridefinendo le regole del genere, trasformando le atmosfere cupe ed estreme del black in uno spazio di resistenza, liberazione e orgoglio queer.
Se infatti una scena RABM (Red & Anarchist Black Metal) già da tempo si sia ritagliata uno spazio considerevole – grazie a nomi come Spectral Wound, Sankara, Dishammer, Kvoid, Cold World e Dawn Ray’d – e non è raro inciampare in concerti di questi gruppi all’interno di centri sociali e spazi occupati, esiste un sottobosco di band e progetti che non solo sfida le convenzioni politiche di questo genere ma offre anche una nuova visione del black metal attraverso testi che affrontano tematiche di genere, diversità e identità, tramite la rabbia, la disperazione e le atmosfere estremamente provocatorie del genere che fu di Burzum, Marduk, Mayhem, Bathory, Nargaroth, Immortal e tanti altri.
Certo, per chi ha un po’ di contezza di questo tipo di musica farà sicuramente strano pensare possa esistere una corrente simile, eppure negli ultimi anni, grazie a una fitta rete di band soprattutto negli Stati Uniti, il fenomeno si è diffuso a macchia d’olio tanto da meritare numerose attenzioni. Basti pensare al libro Black Metal Rainbows, una raccolta di testi e saggi che mettono in luce l’estetica, lo spirito di comunità e di cura, il colore, l’elogio della diversità e della queerness nella scena black, curato da Daniel Lukes e Stanimir Panayotov, che è finito al centro delle critiche da parte dei soliti fan “duri e puri” ma al tempo stesso è diventato in un paio d’anni un’opera di culto. Pensiamo poi alle numerose playlist e compilation disponibili sul web che stanno raggiungendo altissimi numeri di riproduzioni, una tra tutte proprio realizzata dagli stessi Lukes e Panayotov, in cui sono state inserite ben 130 band unite contro l’omofobia.
Questo black metal arcobaleno non deve purtroppo affrontare solo l’estremismo della scena NSBM, perché una determinata diffidenza e un machismo imperante sono da sempre presenti nel metal. Lo sviluppo di questa nuova ondata rappresenta infatti una boccata d’aria fresca per tutte quelle persone che negli anni, nella scena black metal, hanno dovuto reprimere la propria identità di genere e il proprio orientamento sessuale e che adesso trovano una casa e una rete di attivismo sempre più radicata, soprattutto grazie al web e alle numerose fanzine sul tema.
Ad aprire la strada ha contribuito indubbiamente, nel 2008, il coming out di Gaahl, pseudonimo di Kristian Eivind Espedal, leader e cantante dei Gorgoroth e cofondatore del progetto Wardruna, che dichiarò il proprio orientamento omosessuale.
Più che degni di nota, in questa nuova ondata, sono progetti solisti come Gaylord – il cui autore rimane ignoto – con il suo disco The Black Metal Scene needs to be Destroyed, un vero e proprio manifesto di rottura verso la scena più reazionaria. Una particolarità parecchio diffusa nel genere è però una sorta di dissacrante ironia e provocazione verso una scena per troppo tempo omotransfobica, machista e neonazista. A guidare questa linea le Feminazgul, il cui nome e testi giocano ferocemente con una cultura fantasy tolkeniana troppo spesso distorta, e i Perpetual Pist, duo non-binario formato da Nik e Lezlie Blanton – coppia di attivistə LGBTQ+ originaria del Wisconsin – che con il singolo Die Terf Die e i due brani contenuti nello split con i Pout, I’m So Fucking Sick of You Misgendering Me e Transphobes Eat Shit Fuck Off, non le mandano certo a dire.
Se è vero però che i suddetti gruppi mantengono per certi aspetti l’atteggiamento cupo, malinconico e nichilista tipico del black metal più classico, band come i Liturgy – della cantante trans Haela Hunt-Hendrix – e il progetto Violet Cold di Emin Guliyev, originario dell’Azerbaijan, ci regalano un black metal dove a regnare è un atteggiamento più positivo e denso di speranza per il futuro.