Telefoni offline, live acustico e natura incontaminata. Il terzo – e ahinoi ultimo – appuntamento di Apolide Drops, prodotto da TO LOCALS, si è svolto nel paradiso naturale della Valle Soana. Anticipati dallo spettacolo del clown Zip, i Fast Animals and Slow Kids hanno portato la loro integrità, in perfetta armonia con lo spirito dell’evento. Un’esperienza necessaria e rifocillante, che vorremmo fare almeno una volta al mese
Lo scrittore e alpino Mario Rigoni Stern – autore de Il sergente nella neve (Einaudi, 1953), uno dei libri più importanti sulla memoria della Seconda guerra mondiale nel nostro Paese – descrisse così il Pian dell’Azaria, nella Valle Soana, cuore selvaggio e gentile del Parco Nazionale del Gran Paradiso: «per me quel luogo è sempre stato il più bello del mondo. I prati fioriti, il torrente ricco di trote e i camosci che avevano da poco partorito».
Ed è proprio in questo ambiente incontaminato che si è tenuto il terzo e ultimo appuntamento di Apolide Drops, una costola destrutturata di Apolide Festival prodotta dall’Associazione Culturale TO LOCALS, che ha visto come protagonisti il clown Zip e – direttamente da Perugia – i Fast Animals and Slow Kids (FASK).
Per buona parte del pubblico, la giornata è iniziata alle dieci del mattino con un trekking di un’ora abbondante in questo paradiso offline, tra i rumori della natura amplificati da un microfono ambientale e il sudore sotto gli occhiali da sole. Una preparazione endorfinica perfetta, preludio all’ancor più desiderato momento del rifocillamento, del ritrovo collettivo lontano dalle antenne satellitari. Teli, birra, crema solare – per chi ha avuto la previdenza di portarla – e un palco improvvisato nel mezzo della valle rappresentano il connubio perfetto: musica, natura e nessuna notifica sul cellulare.
Alle tre del pomeriggio tutto è pronto per l’inizio dello show, aperto da Zip con il suo spettacolo di equilibrismo e clownerie Splash, che lancia un messaggio semplice e potente: perseguire un desiderio, anche se sembra impossibile. Esattamente come tuffarsi di testa in un bicchiere d’acqua, da una struttura ispirata a un disegno tecnico di Leonardo da Vinci.
Distratti dall’esibizione del clown, ci appartiamo alla ricerca di uno sprazzo d’ombra per intervistare i FASK che, come sempre, si dimostrano disponibili a ogni proposta, compresa quella di giocare a indovinare a vicenda il pezzo preferito della scaletta, con il concreto rischio di mettere a repentaglio l’equilibrio della band. Ci raccontano del tour appena partito, della connessione tra creatività e natura e di una parola che ritornerà spesso in questa giornata: integrità.
È il momento del live che per l’occasione assume la forma ideale per armonizzarsi con l’ambiente circostante: al posto dell’esplosione tipica dei loro concerti, i FASK si presentano in formazione acustica – Aimone Romizi alla voce, Alessandro Guercini alla chitarra acustica, Jacopo Gigliotti al basso acustico e Alessio Mingoli a percussioni e cori – con cinque canzoni selezionate, perfette per l’atmosfera. Il tutto intervallato da un’ispirata chiacchierata con Federica Damiani, host dell’evento.
Aimone inizia a cantare, nonostante la febbre e le placche in gola, sul riff delicato di Una vita normale, dall’ultimo album Hotel Esistenza. Ma se non avesse dichiarato lui stesso di non essere in perfetta forma, sarebbe stato impossibile accorgersene: il decennale rodaggio è palpabile e la dimensione dal vivo è quella in cui emerge tutta l’autenticità della loro musica. Il mix sonoro è perfettamente bilanciato e il pubblico sognante si gode i momenti musicali quanto i concetti profondi che emergono dall’intervista.
Il tempo vola. La sensazione è quella di trovarsi in un parco con un gruppo di amici – più o meno nuovi – a raccontarsi aneddoti, parlare di massimi sistemi, condividere intime fragilità, bere e cantare con il naso rivolto al cielo limpido, avvolti soltanto dal verde sconfinato. Stupida canzone, Cosa ci direbbe e il brano più streammato della band Non potrei mai sono tra quelli proposti, ma l’apice emotivo si raggiunge con Lago ad alta quota. A rimarcare l’importanza dello scambio tra artista e pubblico, il frontman lo presenta così: «nasconde un sottobosco emotivo molto profondo. Ma è bello il fatto che sia una canzone che espande e alleggerisce il pubblico, e così è diventata per noi oggi: leggera».
Il prato risponde al richiamo e si unisce al canto. Un insieme eterogeneo di individui, di ogni età e stile, si incontra in un ritornello che descrive anche questo momento: «ma questa sera è un po’ diversa, segue la scia delle persone».
Preservare l’integrità dello spazio occupato è il vero leitmotiv di Apolide Drops, dove l’energia elettrica viene prodotta in autonomia da un pannello fotovoltaico e l’organizzazione fornisce tutto il necessario per non interferire con l’ambiente. L’obiettivo è invitare il pubblico ad allontanarsi dai soliti luoghi deputati alla cultura per abbracciare l’essenza più primitiva della musica, senza distrazioni digitali, riempiendosi i polmoni di aria pura e gli occhi di bellezza naturale.
Tutto questo basterà a superare l’amarezza per l’annullamento dell’Apolide Festival di quest’anno? Forse no. Ma ci insegna che esistono progetti preziosi, portatori di una visione divergente – forse un ritorno naïf alla cultura hippie – accolta con estremo entusiasmo dalle persone. L’occasione di abbassare la guardia dalla frenesia urbana, riconnettersi all’essenziale, unirsi e resistere. Non ci resta che sperare in una versione estesa di Apolide Drops, preparare gli scarponi da trekking e acquistare preventivamente la crema solare.