Nella raccolta e accogliente atmosfera del Cap10100, un pubblico affezionato accoglie Scarda come a una cena di Natale in famiglia in cui è doveroso aggiungere posti a tavola anche per Gattotoro, Guidobaldi e il duo Valeria Caliandro e Giorgio Mannucci
Sarà stato per l’atmosfera raccolta del Cap10100, per il pubblico di affezionati di lunga data che ha cantato a squarciagola ogni singolo pezzo o per la forte presenza di chitarre che ha accomunato tutti gli artisti saliti sul palco in un’atmosfera da falò di Ferragosto, ma quella di ieri sera è sembrata la classica serata di saluti tra amici prima che ognuno torni a casa dai propri parenti per le vacanze di Natale.
Ad aprire le danze Gattotoro, nome scelto da Gabriele Tura per il suo esordio da solista. «E’ il nome del gatto morto di una mia amica» dice, forse per dare un po’ di sfumature dark e credibilità di strada al suo progetto cantautorale nato a Villaggio Sereno, provincia di Brescia. La sua chitarra acustica accompagna in modo abbastanza ordinario dei testi e una voce che di ordinario non hanno nulla. In modo profondamente autoironico si passa dal parlare dell’influenza della religione sui corpi delle persone a mille modi idioti per morire. Gattotoro scende dal palco per un finale in cui canta al pubblico che lo circonda gli unici due pezzi disponibili anche su Spotify: Ecco sì, quella lì è stata una cosa stupida e Otto piccole bugie (e due grandi). Un personaggio fuori dagli schemi, che è totalmente a suo agio in mezzo a un pubblico che ne intuisce il genio e la finta superficialità.
Il testimone passa poi a Guidobaldi, cantautore classe 1994 che ha un rapporto meno conflittuale con il suo luogo di nascita, come si può intuire dalla dolcezza con cui intona Lungotevere. Guidobaldi accompagna il pubblico di Scarda, per il quale ha cantato i cori in Distrutto, in un viaggio un po’ indie e ricco di riferimenti cinematografici come quello a L’eclisse di Antonioni in Eclisse Twist.
Salgono poi sul palco Valeria Caliandro e Giorgio Mannucci, meno affezionati ai loro strumenti di quanto Guidobaldi lo sia a Roma. I due si scambiano infatti chitarra e tastiere in modo completamente armonico, così come armoniosa è la combinazione delle loro voci nel cantare i brani del loro ultimo EP, Stagioni. Una metamorfosi di ritmi ed emozioni accompagnata da una maturità musicale evidente che si conclude con il clima primaverile di Anime Selvatiche.
A riportare il clima estivo e l’atmosfera da falò in spiaggia ci pensa Scarda, che arriva sul palco con una camicia a fantasia, aperta sotto un cardigan, perché comunque Torino non è Vibo Valentia e il freddo inizia a farsi sentire. Un’apertura variegata e lunga quella che ha preceduto l’arrivo sul palco di Domenico Scardamaglio, che infatti si scusa con chi il mattino dopo dovrà andare a lavorare.
Il cantautore inizia con uno dei suoi ultimi brani, Cicatrice, che è anche un buon esempio del suo stile, fatto di ritornelli che rimangono subito incastrati in testa e storie raccontate con una forte componente emotiva, senza farsi mancare qualche lalala cantato a squarciagola dal pubblico.
Autentica e sincera, la musica di Scarda è in grado di arrivare diretta a chi ascolta, anche per i temi trattati, con una forza che dal vivo è amplificata. Parla dei Ventanni, con più malinconia e senza quel retrogusto rock con cui ne hanno parlato di recente i Måneskin; parla d’amore come in Tutto quanto, brano che definisce «un lento da fare ai matrimoni», e come in Palazzina Gialla, che nasconde un carico emotivo non indifferente dietro a un titolo da «edilizia urbana».
Nonostante riesca a mantenere sempre una grande riconoscibilità, si sente l’evoluzione negli anni del cantautore. Le tastiere sono accostate in modo sempre maggiore alla chitarra rispetto al suo album d’esordio I piedi sul cruscotto e danno un tocco in più anche al riarrangiamento di Io lo so, brano che gli è valso la nomination alla Targa Tenco nel 2015 come migliore opera prima. La buona resa è merito anche del lavoro dei musicisti che accompagnano il cantautore: Francesco De Palma al basso, Luca Taurmino alla batteria e Nicola Russu «alle tastiere e ai gin tonic».
Ma quello che fa sembrare la serata più che un concerto una cena tra amici è il modo che Scarda ha di rapportarsi al suo pubblico, cercando una Giulia e una Bianca a cui dedicare i rispettivi brani e scendendo dal palco per concludere il concerto cantando in acustico Gina e Tramonto, il brano reclamato per il bis e introdotto da uno speranzoso «avendola scritta me la dovrei ricordare».
Nello scendere tra i presenti, disposti a cerchio intorno a lui, Scarda ha seguito l’intuizione di Gattotoro, chiudendo veramente in famiglia una serata di musica. Ecco sì, quella lì non è stata una cosa stupida.