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I Blonde Redhead e la conferma: potremmo anche sentirci cadere, ma questa stasera ci sentiamo vivi

Dopo Sit Down For Dinner potremmo dire che i Blonde Redhead sono tornati, anche se la verità è che non sono mai andati da nessuna parte. La band newyorkese – che quest’anno festeggia due anniversari importanti – era ieri al Milk di Torino, per la seconda delle tre date estive italiane


Ad aprire il concerto c’è Marta Del Grandi: una scoperta per me. Si avvicina ai suoi pochi strumenti tutta sola, ai miei occhi quasi intimidita; sullo sfondo le tende sottili dai dettagli luccicanti vengono mosse da un’arietta leggera, e tutto inizia con dei lievi sospiri. La giovane si fa piano piano spazio e ci coinvolge, regalandoci alcuni brani del suo ultimo lavoro: Selva (2023). Nonostante il brusio del pubblico in lontananza, Marta ci ammalia con i suoi gesti delicati e con una voce che va scaldandosi e intensificandosi sempre di più, fino a rendere quell’apparente timidezza un ricordo lontano. 

Dopo l’esibizione d’apertura e una breve attesa, dal fondo del palco e da dietro i tendaggi vediamo una luce bianca; dopo di lei i Blonde Redhead salgono insieme sul palco del Milk e – senza dire parola – danno inizio al concerto. 

Sono trent’anni dalla loro formazione quest’anno, ma anche venti dall’uscita di Misery Is A Butterfly (2004), che festeggiano partendo da Falling Man. La voce di Amedeo Pace è pungente e precisa, dritta al punto e priva di sbavature: «I’m just a man still learning how to fall». Questo non è che il primo di una serie di brani tratti da Misery Is A Butterfly, album che segnò una svolta più melodica e orchestrale rispetto ai precedenti e che mescola elementi di indie rock, dream pop e art rock

A seguire Dr. Strangeluv, tratta dall’album 23 (2007), considerato spesso uno dei maggiori successi della band, sognante e dalle influenze shoegaze. La voce di Kazu Makino suona spezzata e la band non sembra ancora essersi sciolta del tutto: ci vorrà del tempo prima di sentirli sprigionare per davvero quell’energia inconfondibile.

«Mine is an act of love
Mine is a wish to solve
And mine is to sink by your side»

Delicatamente Doll is Mine ci regala un pizzico di inquietudine, seguita da Elephant Woman: qui per la prima volta i membri della band sembrano quasi parlarsi, sembrano confrontarsi tra di loro attraverso la musica. Poi finalmente Snowman,  – prima traccia della serata tratta dal loro ultimo album Sit Down For Dinner – dove tutto finalmente si amalgama: «Do you feel alive? Or do you only fall?».

Cominciamo a sentirci finalmente in viaggio, quasi spostati dallo stile dei Blonde Redhead: etereo ma mano a mano sempre più movimentato e – a tratti – ballabile. Si alternano – come anticipato – brani tratti dagli ultimi tre album, ma oramai non ci facciamo più caso: Kazu passa dallo stato di concentrazione e coesione con lo strumento, a quello di libertà e movimento, attraverso il corpo e attraverso la voce. 

I Blonde Redhead sono dei veterani ormai, per loro la musica non è mai stata un mezzo per raggiungere un fine, ma un modo per sopravvivere. In questi nove anni la band non ha mai smesso di suonare, portando avanti progetti diversi. Kazu parla di questi nove anni di assenza come produttivi e volatili, ci spiega che quando la musica si mischia così indissolubilmente con la tua vita potresti perdere la concezione del tempo: così è stato.  La band, in concerto, pare non voler abbandonare l’idea di sfoggiare i notevoli strati di ogni singola traccia e non vuole ridurre nulla, costi quel che costi. Comunque il loro stile sembra non conoscere tempo e sembra non sbiadirsi mai, lo spettacolo di ieri sera ne è la conferma.

 

foto di Anastasia Angelini

 

Giorgia Mirabile

Fotografo molto, scrivo un po', poi faccio anche altre cose che però non so se ha senso dire. Mi piacciono molto: le persone mentre suonano la musica, la musica che non si lascia capire e mi devo impegnare, i film che poi mi fanno stare in pensiero. Non mi piace: quando parlo troppo, quando parlo troppo poco, quando devo scrivere qualcosa su di me.

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