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Serata milanese all’insegna del post-punk internazionale con Wombo e Automatic

I due terzetti statunitensi hanno celebrato i loro nuovi album dividendosi il palco dell’Arci Bellezza, zona sud di Milano. Un’ora scarsa di musica a testa e un doppio viaggio nelle possibili derive del post-punk: quella elettrica proposta dagli Wombo e quella decisamente più sintetica sviluppata dalle Automatic


A Milano è un freddo lunedì di fine novembre. Da qualche anno la possibilità di rivedere la metropoli ammantarsi di neve viene preclusa dalla sua spiacevole cappa di smog: non ci resta che una triste e incessante pioggia. Fortunatamente la città può vantare centinaia di centri culturali e luoghi d’aggregazione che, quasi a voler combattere l’inquinamento diffuso, promuovono sonorità indipendenti e sotterranee di gran qualità. Una di queste isole felici risiede a sud, nella zona di Porta Romana, dove si erge un presidio ormai divenuto istituzione: l’accogliente Arci Bellezza con il suo coloratissimo cortile e la sua lunga storia di musica dal vivo. Riparandosi dalle intemperie all’interno del circolo, i primi arrivati possono valutare se attendere l’apertura delle porte in disparte o consumare qualcosa negli sparuti tavolini presenti, che tanto favoriscono la socializzazione.

Sono le 21 in punto quando il trio art-rock degli Wombo – la cantante Sydney Chadwick al basso, Cameron Lowe alla chitarra e Joel Taylor alla batteria – inizia a palesarsi sul palco. Come nel più classico dei luoghi comuni, la band di apertura attacca a suonare mentre la sala è ancora mezza vuota. Snakey è il brano che rompe il silenzio e introduce alle atmosfere della band di Louisville (Kentucky, USA), sognanti e distorte. Per gli Wombo è l’ultima data di un tour che li ha visti prima girare nel Nord America e poi in Europa durante tutto il mese di novembre. Per salutare questa lunga avventura, Chadwick introduce nella scaletta un brano a sorpresa, nonché il preferito del responsabile merchandising che li ha seguiti fino a qui. «Non la suoniamo da un bel po’», dice abbozzando finalmente un sorriso e poi via con Sour Sun. In generale, sono pochissime le parole pronunciate dalla leader del gruppo, impegnata nel dare voce e corpo all’ultimo disco Danger in Fives (2025, per l’etichetta Fire Talk) e ad alcune reminiscenze di quelli precedenti. Le mani di Lowe si affannano compulsivamente sulla chitarra elettrica ricordando lo zampettare frenetico e giocoso di un gatto. Il concerto scorre liscio fino all’esplosione di Dreamsickle, forse il brano più popolare di tutto il repertorio del trio, che conclude il primo spezzone di serata.

Al rientro della pausa, il set è pronto ad ospitare le Automatic, ovvero Izzy Glaudini (synth, voce), Halle Saxon (basso, voce) e la sfortunata Lola Dompé (batteria, voce) che in questa parte finale del tour è stata sostituita poiché malata. In pochi anni il trio post-punk dalla forte influenza synth-wave si è guadagnato un discreto seguito in tutto il mondo. Con un lieve anticipo sull’orario programmato, le losangeline si presentano a un parterre ormai gremito suonando Calling It. Si tratta solo di uno dei tanti classici ripescati dal loro fortunato album d’esordio Signal (2019, Stones Throw). Sul palco nel frattempo si è formata una cortina di fumo che avvolge completamente il trio, lasciando alle luci la facoltà di farlo riemergere, di tanto in tanto, a tempo con la musica. Glaudini sembra inizialmente bearsi del proprio nascondiglio, salvo accendersi sulle prime note di Venus Hours. Lasciando per la prima volta le sue console, la giovane si prende la scena con grande consapevolezza. L’album Is It Now? (2025, Stones Throw) non domina la scaletta, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare data la recente pubblicazione. Abbracciando l’intera discografia, la performance riesce a valorizzare l’evoluzione sonora della band, risultando in un’esperienza musicale molto dinamica. Il picco indiscusso viene toccato con una roboante Too Much Money, subito prima dell’esecuzione finale che è invece dedicata alle nuove sperimentazioni sonore del trio. Per l’ultima canzone Saxon lascia il basso e va a posizionarsi ai synth assieme a Glaudini. Gli sprazzi psichedelici di Mercury scuotono il pubblico per poi lasciarlo improvvisamente sospeso.

L’unica data italiana delle Automatic sfuma così tra gli applausi. Dal momento che all’indomani saranno nuovamente impegnate in quel di Praga, il gruppo annuncia che non avrà tempo di fermarsi a conoscere il pubblico. Piano piano torna udibile la pioggia che al di là delle pareti ha continuato a picchiettare. Si può sperare di vederla trasformarsi magicamente in neve, guidando in direzione della lontana provincia mentre i sintetizzatori non smettono di riecheggiare nelle nostre orecchie.

 

foto di Gabriele Tuninetti

Luca Origo

La chimera, di Alice Rohrwacher. Le otto montagne, di Paolo Cognetti. Un ragno, il suo uovo e noi dentro, dei Ricche Le Mura.

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