Il secondo lungometraggio di Francesco Sossai è un sogno da cui non ci si vorrebbe svegliare, una bolla che non vuole scoppiare in attesa dell’ennesima, ultima birra. Le sue musiche, realizzate da Krano, trascendono il folk e contribuiscono all’incantesimo ammantando la pellicola con una tenera sospensione, un’irresistibile atemporalità
All’ultimo Festival di Cannes, nella sezione denominata Un Certain Regard, è stato presentato un film italiano intitolato Le città di pianura che ha unito pubblico e critica facendo gridare al piccolo miracolo. La regia è del giovane cineasta Francesco Sossai (Feltre, 1989) che, giunto al suo secondo lungometraggio, si è immaginato un road movie ad alta gradazione alcolica tutto ambientato tra le province di Belluno e Venezia. Sorretta dalle interpretazioni di Filippo Scotti, Sergio Romano e Pierpaolo Capovilla – storico leader del gruppo noise rock Il Teatro degli Orrori – la pellicola si sviluppa in un confronto generazionale profondamente dolceamaro e camuffato da viaggio in auto, ispirandosi forse a un capolavoro come Il sorpasso (1966) di Dino Risi.
Uno degli aspetti che contribuiscono a rendere iconico il film è la sua capacità di dialogare con la dimensione musicale. Tra le varie tappe del loro improbabile itinerario, ai protagonisti capita spesso di vedere musicisti esibirsi dal vivo. Il territorio veneto oggi raccoglie una delle scene musicali più vivide dell’underground italiano e nelle città di pianura questa viene omaggiata anche grazie a un cameo dei Laguna Bollente. Il duo nato a Venezia è contraddistinto da un suono lo-fi tra i più acidi del momento e il loro recente album Fanta Sbocco (2025, Dischi Sotterranei), un distillato di nichilismo dissacrante, viene suonato sullo sfondo in una delle prime scene del film. Il confine tra musica diegetica (quindi interna alla narrazione) ed extradiegetica sfuma quando in uno dei tanti locali i protagonisti assistono a un set acustico di Krano, all’anagrafe Marco Spigariol, che ha curato la colonna sonora del film.
Dopo aver suonato in diverse band, l’artista ha deciso di intraprendere un percorso solista sperimentando con il folk e cantando in dialetto veneto. Sebbene radicale, questa scelta va tutt’altro che in una direzione identitaria. Col suo stile, Krano riesce a elevare quello che è un idioma strettamente territoriale e a conferirgli un grande potenziale evocativo di respiro internazionale. Riuscendo solo a sfiorare il significato letterale dei brani, ci si lascia cullare dalla voce traballante dell’artista e l’immaginazione ha modo di viaggiare tra i rimbalzi della sua chitarra acustica. Simili esperimenti sono riscontrabili ovunque, tra i più interessanti quello di Daniela Pes che nel suo ultimo Spira (2023, Tanca Records) mescola il dialetto sardo a un suono elettronico d’avanguardia. Questa fusione tra globale e provinciale rivela molto del dramma di Doriano e Carlobianchi, che non hanno accettato il passaggio del tempo e la rottura della propria gioventù. Similmente, il loro territorio resta teso tra una nostalgia diffusa e le macerie della crisi economica. Il personaggio di Giulio, invece, sperimenta una forte passione verso quell’architettura che è resistente al tempo e, come nel caso del Memoriale Brion, è frutto della contaminazione armonica tra culture e influenze diverse.
Le Città di Pianura (Original Soundtrack) arriva dopo Requiescat In Plavem (2016) e Lentius Profundius Suavius (2023), segnando la terza collaborazione in poco meno di dieci anni tra Krano e l’etichetta bolognese Maple Death Records. Uscito il 7 novembre, il disco si compone di brani originali, eccezion fatta per un paio di estratti provenienti dai progetti precedenti (Va pian e Coparse). Nel corso dei mesi le atmosfere del film sono state anticipate da due singoli particolarmente emblematici: Ti e Workaholica, rilasciati in corrispondenza della partecipazione a Cannes, il primo, e dell’uscita nelle sale italiane, il secondo. La colonna sonora ha avuto un’origine parallela a quella del film, senza costituirne quindi un prodotto derivativo. Nella discografia del musicista veneto, che Sossai conosceva bene, già risuonavano le sensazioni e i paesaggi propri della sceneggiatura. Accompagnando il viaggio di Giulio, Doriano e Carlobianchi, la musica di Krano fa da eco allo sgretolarsi graduale delle loro certezze. Il suo incedere lento e cantilenante acuisce la sensazione che i tre protagonisti stiano dolcemente andando alla deriva, verso una meta sconosciuta o, meglio ancora, dimenticata.

