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L’Avversaria di Cristiana Verardo trasforma il sabotatore interno in alleato

Una voce interna che ci rema contro, un sussurro più o meno forte che ci instilla dubbi, non ci fa dormire, ci costringe a rimuginare: è il nostro antagonista personale. In Psicoterapia si chiama “sabotatore interno”, per Cristiana Verardo invece si chiama Avversaria. E L’Avversaria è proprio il titolo del suo album, uscito il 17 ottobre, un’operazione di autoanalisi condivisa con chiunque desideri ascoltarla. Un’occasione per guardare in faccia il proprio avversario, comprendere la sua funzione, accoglierlo


Cantautrice e chitarrista salentina, classe 1990, Cristiana Verardo si distingue per uno stile intenso, emotivo e profondamente lirico. L’Avversaria, prodotto con RafQu al Ballon Musique Studio, è il suo terzo album, un approdo inatteso in un terreno inesplorato, frutto di un lungo percorso di conoscenza interiore e di introspezione – coinciso con il processo creativo dell’album –, in cui l’artista ha cercato la pacificazione con la parte di sé che tende alla paura, si incattivisce, si dissocia e si intimorisce, che si oppone. Ecco cosa ci ha raccontato della sua Avversaria.

Chi è l’Avversaria di cui parli nel tuo disco?

L’avversaria sono io. Veniva fuori spesso questo nome durante le sedute di psicoterapia. Mi rivolgevo alla parte di me che giudicava, che in qualche modo mi ostacolava e la chiamavo l’avversaria. A un certo punto, durante la scrittura dell’album, ho detto: «L’album lo chiamo così». Avevo bisogno di vederla bene l’Avversaria, quindi per vederla bene e farci pace dovevo darle luce e quindi intitolarle l’album.

Questo è un album molto profondo, intimo e introspettivo. Hai analizzato relazioni presenti e passate, parlato a chi non c’è più, immaginato scenari differenti. Invece, alla tua Avversaria che cosa hai detto? E alla fine di questo percorso, vi siete riappacificate? C’è qualcosa che ti ha insegnato?

All’Avversaria ho detto: «Fammi dormire con te, fammi stare insieme a te» e lei l’ha fatto, tant’è che oggi che l’album è uscito mi rendo conto che non la percepisco più come una rivale, adesso siamo in due nel mondo quindi si è creata un’alleanza, la sento proprio dentro. Prima aveva un significato negativo, adesso invece è diventata una complice nel vivere la vita, le piccole e grandi cose. Mi rivolgo a lei come se fosse un’alleata.

A chiudere l’album c’è Carissimo Oppressore, che si rivolge a chi ha tradito quel bambino interno sempre alla ricerca di libertà per il bisogno di potere. Tu pensi che se questa canzone si trasformasse in dialogo con chi oppressore lo è davvero, nella vita di tutti i giorni, potrebbe cambiare qualcosa?

Io credo sia un’utopia sperare che gli oppressori possano ritrovare quella purezza e quel sé bambino che per forza di cose non può essere cattivo. Io questi me li sono immaginati da piccoli, nella canzone scrivo proprio questo: «Dove l’hai lasciato quel bambino che voleva scavalcare i muri del paese?», cioè dov’è finita la tua libertà? Per quale motivo hai deciso di chiuderti in gabbia e limitare la libertà degli altri? Sarebbe bello se questo discorso potesse far cambiare idea agli oppressori, che sono persone buie dentro, ma mi sembra un’impresa.

Hai dichiarato che questo album nasce da un percorso interiore anche molto difficile a tratti, ma che è stata una virata radicale. Questo percorso nasce da consapevolezze che sono affiorate naturalmente, piano piano, oppure c’è stato un evento che ha dato il via a tutto?

È stato tutto molto graduale. Nel 2023 mi metto a scrivere, piantando i primi semi dell’album e in fase di scrittura l’Avversaria era ancora avversaria. Pensavo alla direzione da prendere. L’obiettivo era avvicinarmi quanto più possibile a me stessa, alla mia verità. Per fare questo però dovevo capire quale fosse la mia verità. È stato un percorso bellissimo, dolorosissimo, in cui ho messo tutto in dubbio, ho pensato di mollare tutto. Però continuavo a scavare e a scrivere. Scavavo e scrivevo, scavavo e scrivevo. E a un certo punto ho cominciato a essere contenta di quello che stavo facendo. Ho scritto delle melodie che sono in un registro medio-basso, che è il registro che io utilizzo quando parlo, perché volevo proprio cantare e comunicare allo stesso tempo. E me ne sono accorta dopo, di aver fatto questa cosa. Non ci sono mai picchi alti di acuti o vocalizzi, le melodie delle canzoni sono quasi tutte in un registro basso. Questo proprio perché avevo tanto da dire e ho capito che il mio modo di stare al mondo è questo. In queste otto tracce ci sono tante mie verità.

E la scelta di utilizzare questo registro ha pagato in termini di rispecchiamento del pubblico? Le persone si sono riviste in quello che tu dici nel disco e in come lo dici?

Assolutamente. Quando ho pubblicato l’album ho scritto un post dove raccontavo chi era l’Avversaria e dicevo che è quella parte che ci ostacola e ci giudica. Ognuno di noi ce l’ha. In tanti mi hanno scritto che ero riuscita a dare voce alla percezione che avevano di sé e che ascoltando l’album erano riusciti a liberarsi dall’Avversaria o in qualche modo a entrare in contatto con lei. Io credo che ci sia bisogno di fare questo, di entrare in contatto con una parte di sé con cui bisogna parlare. Bisogna trovare un compromesso per trovare un equilibrio.

Questo album l’hai presentato con un’anteprima speciale il 14 e il 15 ottobre, grazie alla collaborazione con Progetto Itaca Lecce, realtà impegnata nella lotta allo stigma che circonda la salute mentale e Casa Artemide, struttura residenziale che dal 2016 accoglie pazienti psichiatrici. Com’è stata questa esperienza?

Stupenda. È stata la prima volta in cui mi sono emozionata dopo l’uscita dell’album. In realtà io non riesco tanto a lasciarmi andare, è come se avessi un compressore sulle emozioni. Però incontrare queste persone che hanno un’Avversaria importante dentro è stato bello perché attraverso la musica abbiamo parlato del mostro che abbiamo dentro. Loro si sono tanto aperti ed è stato bello cantare per loro, è stata un’emozione forte. All’inizio avevo un po’ di paura ma poi è stato tutto semplice. Mi sentivo proprio a mio agio in quella situazione. E con tante persone sono rimasta in contatto, ci sentiamo quotidianamente.

Mi piaceva l’idea di fare qualcosa che potesse includere. Queste sono persone che banalmente vanno a letto presto, alle 20:30. Non possono accedere a un’esperienza inclusiva che per noi è normale, quella del concerto. Quindi l’idea di portare un concerto, portare la musica in questi luoghi, per me è stato veramente un onore.

Immagino che scrivere questo disco ti abbia regalato anche molte consapevolezze nuove su di te e sul tuo vissuto interno. Se potessi tornare indietro nel tempo con queste consapevolezze che hai oggi, se potessi tornare a un momento in cui stavi scrivendo uno in particolare dei tuoi altri brani di dischi precedenti, lo riscriveresti? O lasceresti tutto così com’è?

Tutte le tappe sono necessarie. Ogni percorso è fatto di momenti di stasi, accelerazione o rallentamento. Qualsiasi momento è utile in una ricerca. La risposta è: rivivrei tutto quello che ho fatto. Sono contenta oggi di aver trovato pace e serenità.

Eleonora Freguglia

Consulente Marketing con la testa nella strategia e l’anima un po’ punk. Scrivo di quello che amo: Musica, Comunicazione, Psicologia. Le parole sono importanti: saperle usare è una responsabilità.

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