Tempo, il secondo album di Laila Al Habash, cantautrice italo-palestinese – pubblicato per Undamento –, si presenta come un estratto onirico da un vecchio diario segreto: un racconto sincero della quotidianità, tra paranoie e la costante incapacità di vivere il presente. Il tutto condito da sonorità arabeggianti con un nostalgico sguardo all’indie pop del decennio precedente
A distanza di quattro anni dal debutto con Mystic Motel – e dopo gli EP Moquette e Long Story Short, che ne hanno consolidato il percorso artistico – Laila Al Habash presenta Tempo, il suo secondo long play. Con questo nuovo lavoro, la cantautrice italo-palestinese scolpisce meticolosamente i contorni della sua identità, cristallizzando la sua innata capacità di trasformare gli intricati grovigli della psiche adulta – dubbi, frustrazioni e paranoie – in un linguaggio pop di disarmante immediatezza. Le sue canzoni conservano l’onestà brutale di un sentire infantile, incastonato nella mente di una donna che porta addosso il peso della maturità. In questo disco, Laila riesce a coniugare tale spontaneità con una sopraggiunta maturità sonora, accompagnando la sua voce calda e sensuale – che evoca ricordi dell’era d’oro dell’indie italiano del decennio precedente – con nuance e ritmi che a tratti strizzano l’occhio a suggestioni arabeggianti.

L’uscita del disco è stata anticipata da tre singoli che ne hanno delineato i confini tematici e sonori: Fumantina, incentrata sull’impossibilità di essere perennemente produttivi; Tuareg, prodotta dalle sapienti mani di Niccolò Contessa; e Sahbi, che vede Laila cantare per la prima volta in arabo. Le nove tracce inedite, curate alla produzione da notforclimbing e Golden Years, con il prezioso contributo di Emanuele Triglia in Sogno 86, contribuiscono ulteriormente a creare un sound omogeneo e contemporaneo che incornicia i temi più sentiti dalla Gen Z.
Ritento si posiziona come il fulcro nevralgico dell’album. Laila verbalizza in modo toccante la paralisi del presente, intrappolata tra i rimpianti del passato e l’ansia per il futuro. Il brano è un vero e proprio mantra che si traduce in un invito musicale a forzare un rallentamento e assaporare l’attimo. L’autoanalisi prosegue in UFO, in cui la cantautrice immagina un incontro con la sé stessa adolescente per esorcizzare le paranoie legate al bisogno di popolarità – e quella malinconia delle feste in cui «si sta fuori a fumare e nessuno si diverte mai».
L’occhio si sposta poi verso l’esterno con Che lavoro fai, una cruda istantanea sulla Milano gentrificata, dove il valore umano viene misurato dal curriculum e le conversazioni vuote fanno da sfondo a relazioni sempre più fredde. Voglia, ispirata a E salutala per me di Raffaella Carrà, è la gemma più inattesa del disco in cui Laila abbandona ogni ironia per raccontare la lucidità di chi sceglie di non farsi consumare dal rancore. Anziché l’ira, infatti, la protagonista della traccia augura il bene a chi l’ha sentimentalmente ferita e tradita, accettando mestamente che nel gioco dell’amore esistono vincitori e vinti.
Tempo non è semplicemente una raccolta di brani, ma l’estratto onirico e fedele di un diario segreto, in cui i sentimenti più privati e nascosti vengono messi a nudo e cantati con sfrontata – quasi terapeutica – sincerità. L’intero lavoro suona come il frutto maturo di innumerevoli chiacchierate con l’analista: una lente di autoanalisi attraverso cui Laila Al Habash ci consegna una tagliente e moderna guida for dummies su come affrontare le proprie insicurezze, i rapporti sociali e l’amore in modo limpido e sincero. Laila sa trasformare le zone d’ombra più profonde dell’animo umano in melodie cristalline e accessibili. È come se avesse a disposizione una sua privatissima stele di rosetta capace di decriptare il subconscio in chiave pop. Tempo è un coraggioso – e riuscitissimo – atto di decodifica emotiva che segna un punto di non ritorno: il tempo della piena fioritura di Laila Al Habash è ormai arrivato.

