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Lo stato di salute del cantautorato italiano: Premio Tenco 2025

Si chiude l’edizione numero 51 del Premio Tenco. Il doppio trionfo di Lucio Corsi come miglior album e miglior singolo porta una ventata di giovinezza in un festival sempre a cavallo tra il passato e il presente. In questo passaggio di testimone tra gli interpreti di ieri e di domani c’è un’interrogativo costante: qual è lo stato di salute del cantautorato italiano?


Il Premio Tenco non è solamente una rassegna tra le più longeve nel panorama musicale italiano. Puntualmente ogni anno rende omaggio all’artista da cui prende in prestito il nome, quel Luigi Tenco che tanto ha dato alla musica d’autore nostrana, sebbene in troppo poco tempo, fino a quel tragico 27 gennaio 1967, quando è stato ritrovato il suo corpo in fin di vita nella camera 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo, proprio durante la settimana del Festival in cui egli stesso era concorrente assieme a Dalida.

Da allora, più precisamente dal 1974, si omaggia ogni anno la memoria dell’artista, celebrando la musica d’autore in un una rassegna che offre sempre interessanti spunti sulla direzione che sta prendendo la musica cantautorale. Ed è proprio la memoria il tema di quest’ultima edizione appena terminata. Memoria che non può non porre l’attenzione sui crimini quotidiani a Gaza. La musica come veicolo politico in grado e in dovere di farsi portavoce di messaggi sociali, di battaglie da combattere anche con il potere della parola, della penna e della voce.

Da qualche anno il Club Tenco ha deciso di istituire il Premio Yorum, in collaborazione con Amnesty International, e nell’edizione 2025 ha scelto di omaggiare la memoria di Refaat Alareer, attivista, giornalista e poeta palestinese ucciso a Gaza nel 2023. A ritirare il premio, per la prima volta, lo stesso Grup Yorum, un collettivo di circa venti artisti e artiste provenienti dalla Turchia; una storia di censure e persecuzioni da parte del governo turco; di uomini e donne fuggiti all’estero e accolti come rifugiati politici; di chi invece è relegato in carcere solo perché colpevole di fare musica; di tre di loro che, avendo esaurito i mezzi per combattere, hanno deciso di utilizzare il proprio corpo e sacrificarlo, morendo per sciopero della fame in carcere dopo trecento giorni di agonia. La musica è strumento di lotta, e il suo messaggio è universale.

Nel corso degli anni il Premio Tenco è diventato una sorta di prova del nove: un test sullo stato di salute del cantautorato nostrano. Scavando ancora più a fondo fino al nocciolo della questione, la domanda che sorge spontanea è: cosa vuol dire nel 2025 essere cantautore?

Sarà stato un caso, ma ad ogni modo a questo quesito ha provato subito a dare una risposta Anna Castiglia – miglior opera prima con Mi piace –, con la sua ricerca melodica, le sue sonorità che spaziano dai ritmi mediterranei a quelli balcanici. Catanese e di forte ispirazione etnea dal punto di vista musicale, ci pensa lei a dare una risposta a questo dilemma sul significato del fare cantautorato, sfatando un tabù dei tempi moderni: «se qualcuno non mi ascolta o non mi ascolterà, non è colpa della trap o di Ghali». Scartata subito un’ipotesi sulla questione cantautorale, non è la trap ad averla abbattuta.

Tocca a La Niña ritirare il premio per il suo Furesta, miglior album in dialetto, a dimostrazione che il napoletano è una lingua a tutti gli effetti, conferma che la musica dialettale sta vivendo un’era florida, sostenuta da nuovi generi musicali e da un ecosistema social fatto di slang e viralità che dà una grossa spinta dal basso.

Il racconto si fa via via più intenso, emotivo e coinvolgente quando è Caroline Pagani a essere insignita del premio per Pagani per Pagani, miglior album a progetto. Più che progetto è un viaggio nei ricordi dell’artista che, con un doppio album in italiano e in francese, ripercorre non solo le tappe artistiche del fratello Herbert Pagani, personaggio poliedrico, ma ricorda anche la visione del mondo, i messaggi di pace, lo sguardo ecologista di Herbert. Un omaggio per restituire la giusta visibilità a un artista scomparso prematuramente, proprio come Tenco. Lui, Herbert, che è stato l’ultimo a intervistare il cantautore genovese. La memoria, due vite brevi ma intense: un filo conduttore che forse è cruciale e allo stesso tempo fuorviante per rispondere alla domanda iniziale su cosa sia oggi il cantautorato.

Il trionfo per eccellenza è quello di Lucio Corsi, che vince sia la Targa Tenco per il miglior singolo con Volevo essere un duro sia la Targa per il miglior album in assoluto col disco omonimo. L’ultimo a riuscire in questo double era stato Samuele Bersani nel 2004 con Caramella Smog miglior album e Cattiva miglior singolo.

Il Club Tenco è un affascinante paradosso, una realtà che da una parte sembra voglia vivere con un piede saldamente ancorato al passato, come se il cantautorato fosse una faccenda legata alla vecchia generazione di artisti, diventando così respingente e poco attrattivo per i giovani spettatori che non si sentono completamente rappresentati da questi quattro giorni di rassegna. D’altra parte, è impossibile non dare spazio a giovani artisti che rendono omaggio alla tradizione cantautorale, di cui Lucio Corsi quest’anno è sicuramente il capostipite.

Ed è giunto il momento di sciogliere una volta per tutte ogni dubbio in merito a quella domanda che tanto ci tormenta. Viene in soccorso proprio Anna Castiglia, che ha citato Ghali sul palco dell’Ariston. Quel Ghali le cui parole, su quel palco, qualche mese prima in occasione del Festival della Canzone Italiana, sono state potenti e scomode per molti: parole di pace e libertà rivolte alle vittime palestinesi. Quel Ghali che si fa portavoce di messaggi socialmente importanti, nonostante l’autotune e la trap.

Cambiano le tendenze, le sonorità, gli abiti. In questa trasformazione è forse il cantautorato a rimanere meravigliosamente statico. Perché il cantautorato non è mai morto, ma sono rimasti in pochi a raccontare storie.

Vincenzo Gambardella

Mio padre mi racconta spesso che da piccolo mi faceva guardare videocassette con pubblicità registrate quando dovevo tenermi tranquillo mentre mi tagliava i capelli. Sarà stata questa la deviazione che mi ha portato ad approfondire i linguaggi di comunicazione. Sono esperto social, speaker radiofonico e ora scrivo di musica. Mio padre non è più un parrucchiere.

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