Alla Villetta Social Lab di Garbatella è stato presentato Kneecap, film che racconta la band rap irlandese simbolo di resistenza e ironia. Tra satira, memoria e musica in gaelico, la proiezione ha unito Roma e Belfast in un atto politico e culturale di solidarietà globale
«D’you know what? Every f*ckin’ story about Belfast starts like this». La voce di Mo Chara esplode nel buio, seguita da immagini di esplosioni, barricate, fiamme. È un inizio che non concede tregua: i Troubles, la guerra urbana che ha segnato l’Irlanda del Nord, tornano sullo schermo non come memoria polverosa, ma come ferita ancora pulsante. È da qui che prende avvio Kneecap, film diretto da Rich Peppiatt e distribuito in Italia da Europictures, presentato ieri sera alla Villetta Social Lab di Garbatella. Un luogo e un film che, messi insieme, hanno trasformato una proiezione in un atto politico e culturale.
La scelta della Villetta non è stata casuale. Lo spazio, nato come sede del fascio e poi conquistato dai comunisti nel dopoguerra, è stato per decenni quartier generale del PCI e successivamente punto di riferimento per l’associazione Sinistra Civica Ecologista. Oggi è ancora laboratorio culturale e presidio politico, radicato nella memoria della Resistenza e dei movimenti che hanno attraversato Roma dagli anni ’70 in poi. Portare Kneecap in questo contesto ha significato collocare il film in un terreno fertile, dove cinema e militanza si intrecciano naturalmente.
Vittoria Piracci, responsabile della sezione editoriale e dello scouting per Europictures, ha spiegato come il film sia approdato in Italia: dopo averlo visto al Festival di Venezia, fuori concorso, ne ha intuito il potenziale. «È un’opera di nicchia per temi e linguaggio, ma con la forza di un cult generazionale, come Trainspotting», ha raccontato. Per questo ha deciso di puntare su un pubblico giovane e politicamente attento, presentandolo in un luogo coerente con il messaggio dei Kneecap.
Daniele Ginger e il collettivo Borghetta Stile, insieme a Vittoria, hanno organizzato la serata, un gesto che ha ribadito il valore politico della distribuzione indipendente. In Italia, infatti, il film ha incontrato ostacoli, le posizioni esplicitamente pro-Palestina della band hanno reso difficile trovare sale disponibili. Proiettarlo gratuitamente in un centro sociale è stata allora un’affermazione di coerenza: se i cinema tradizionali esitano, la cultura trova casa altrove.
Un messaggio rilanciato anche da Amedeo Ciaccheri, presidente del Municipio VIII, che ha ricordato il legame ventennale tra Garbatella e Irlanda del Nord. Dall’iniziativa Sport sotto l’assedio fino ai percorsi di solidarietà internazionale, Roma e Belfast hanno condiviso esperienze comuni: la memoria della resistenza romana, delle Fosse Ardeatine e della militanza di quartiere trova eco nelle battaglie irlandesi per la decolonizzazione. Oggi, ha sottolineato Amedeo, questo legame si rinnova anche nella solidarietà con la Palestina.
A rendere ancora più speciale la proiezione è stato l’intervento artistico di Arash, che ha realizzato un dipinto sulle mura del centro sociale: un’opera che fonde le bandiere di Palestina e Irlanda come sfondo al logo dei Kneecap, con la scritta in gaelico Tiocfaidh ár lá (arriverà il nostro giorno). Sul muro laterale campeggia invece lo slogan «Gaza, Belfast, Roma. One world, one struggle», a suggellare il legame tra lotte locali e resistenze globali.
Kneecap non è, quindi, solo un film musicale: è un racconto politico mascherato da commedia satirica. Racconta l’ascesa di Mo Chara e Móglaí Bap, due ragazzi della Belfast post-Troubles, figli di militanti repubblicani, che trasformano rabbia e identità in rap cantato in gaelico. Sullo schermo interpretano sé stessi, con una naturalezza spiazzante, affiancati dal professore disilluso DJ Próvai, terzo membro reale del gruppo. Il cast include anche Michael Fassbender nei panni di un padre militante dell’IRA, figura che incarna la memoria viva di un conflitto mai chiuso.
La narrazione alterna momenti surreali e satira pungente: paramilitari ridicolizzati, droga che arriva dal dark web come per magia, Mary Poppins che diventa spacciatrice. Scene che oscillano tra il grottesco e l’ironico – come la battuta su Bobby Sands/Bobby Sandals o il trio che esibisce la scritta «Brits Out» tatuata sulle chiappe di DJ Próvai – mostrano come l’umorismo diventi un’arma di resistenza. Ridere non è fuga, ma modo di disarmare il potere.
Sullo sfondo c’è la battaglia per il riconoscimento della lingua irlandese: il film è ambientato nel 2019, mentre era in corso la campagna che porterà alla Identity and Language Act del 2022, legge che ha conferito status ufficiale al gaelico. «Ogni parola in gaelico è un proiettile per la libertà dell’Irlanda», recita il film: ed è forse la frase che meglio ne riassume lo spirito. La lingua diventa arma, la musica scudo, il rap terreno comune di lotta e identità.
Kneecap è il primo film in irlandese presentato al Sundance, dove ha vinto il premio del pubblico NEXT. Ha trionfato al Galway Film Fleadh con tre premi e conquistato sette riconoscimenti ai British Independent Film Awards, tra cui Miglior Film. È entrato nella shortlist per l’Oscar come miglior film internazionale per l’Irlanda. In Italia al Giffoni film festival ha vinto il premio come miglior film nella categoria 18+. Ma al di là dei premi, il suo impatto è soprattutto emotivo e politico: ogni beat trasforma la sala in uno spazio di battaglia culturale, capace di coinvolgere anche chi non conosce la lingua. Le canzoni – da C.E.A.R.T.A. ad Amach Anocht – risuonano oltre i titoli di coda, lasciando addosso la sensazione di aver partecipato a un concerto oltre che a una proiezione.
Non si tratta di un film settario: i Kneecap respingono il nazionalismo angusto e aprono collaborazioni trasversali, portando il loro messaggio oltre Belfast. Non manca il riferimento alla Palestina, con bandiere e slogan che hanno già costato alla band processi e accuse. Il legame tra lotte locali e conflitti globali diventa evidente: Belfast, Roma, Gaza.
Alla Villetta, la proiezione di Kneecap non è stata semplice intrattenimento. È stata un atto di resistenza culturale, un ponte tra storie diverse che si riconoscono nella stessa volontà di non tacere. Ancora di più, cinema, musica e memoria politica hanno trovato un linguaggio comune, ricordando che ridere, ballare e cantare può essere il modo più serio per fare resistenza.
in collaborazione con Luca Parri

