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Sara. Un fuoco che brucia, ma Illumina tutto

Siamo immersi nel fuoco, un ambiente rosso pulsante che funge da fil rouge per tutte le canzoni che compongono l’ultimo lavoro di Vasco Brondi, uscito per Carosello Records il 15 Marzo: “Un segno di vita”. Un album poetico che affronta la potenza distruttiva delle fiamme, portando alla luce anche l’efficacia energetica del fenomeno


Per il suo nuovo album, Vasco Brondi ha chiesto il supporto di autori storici dell’indie italiano (c’è chi pensa sia morto, chi invece tenta di riesumarlo), come Federico Dragogna, Angelo Trabace, Federico Nardelli, Pacifico e un prezioso featuring con Nada, la cantautrice dalla vocalità abrasiva.

Le canzoni si susseguono come un unico racconto, votato a rappresentare da diversi punti di vista, quello che è tristemente diventato il protagonista di questo periodo storico: il fuoco. Distruttivo, ma illuminante.

Solitudine, rassegnazione, frustrazione sociale, sono le prime emozioni che scaturiscono dall’ascolto dell’ultimo singolo: Illumina tutto. La canzone parla di Sara e del suo conflitto interiore. E Vasco lo descrive così:

«Illumina tutto è un credo, uno strano credo, ma ognuno ha il suo. È la storia di qualcuno che parte con tutti i pronostici contro e un fuoco dentro che brucia ma illumina tutto. Di qualcuno che grida “arrivano i nostri” anche se poi non arrivano i nostri. C’è il mondo al di là degli schermi, la vita e la morte dei santi, il risveglio improvviso dei vulcani. La fame e la sete di vita. L’amore, gli archi e le chitarre distorte.»

Questa, invece, è la breve storia che ha bussato il mio immaginario quando, ascoltando per la prima volta il brano, mi sono chiesto: «Chi è davvero Sara? Perché mi sento così connesso a lei?».


Sara troverà un po’ di buona sorte

Il mondo esterno ha perduto il proprio valore, per Sara. Il fuoco che arde all’interno del suo corpo è più vigoroso e non cenna a dissiparsi. Ha iniziato la sua lenta invasione partendo dalla mente, rimasta indelebilmente ferita dalle ripetute delusioni da parte di una realtà crudele. Speranze disattese, trasformate in afosa solitudine.

«Anche il cielo questa sera è rosso». Dice, con la sigaretta in mano, guardando fuori dalla finestra socchiusa, mentre immagina di perdersi nella brezza dell’infinito astrale.

Ha sempre creduto in qualcosa, Sara. O almeno ha provato a farlo, fino a che non le è diventato impossibile. Soltanto la natura non l’ha mai tradita, con le sue leggi non scritte che funzionano sempre. Nonostante tutto. Si ripete come un mantra: «Quando un vulcano erutta, non c’è filosofia umana che tenga».

Sara invidia quella potenza indomabile, che l’uomo non potrà mai conoscere. La verità è che ha tentato invano di mantenere salda la fiducia nell’essere umano, giustificando con cieca tenacia la cattiveria di cui si è reso portatore nel mondo. Ha sempre visto oltre, Sara. Oltre il presente, oltre il passato, oltre sé stessa.

«Sara, sei un’idealista! Ognuno è artefice del proprio destino, non esistono cattivi maestri, né tantomeno i santi», le sussurra un volto impersonale, rappresentazione virtuale delle svariate persone che l’hanno messa in guardia.

È sempre stata scettica verso chi le parlasse così. Non che negasse in qualche modo questa sua inclinazione. Col senno di poi ha dovuto riconoscere a sé stessa che la definizione di idealista fosse rappresentativa del suo pensiero. Al contrario del tono critico di chi le sta attorno, però, per lei è da sempre motivo di orgoglio. È certa che il suo credo vada oltre la razionalità, avverte da sempre un moto interno per nulla arrendevole. I disastri sociali, a volte, sono più profondi di quelli naturali e non c’è ideologia vincente in una battaglia affrontata a cuore aperto. Si è vittime impotenti a prescindere ed è inutile colpevolizzarsi troppo.

Il misticismo, quindi, aveva da tempo preso spazio all’interno della sua visione del mondo. Sara si era appassionata di cartomanzia il giorno in cui una sorridente signora le aveva letto le carte: «La Torre rovesciata, cara. Significa che un individuo sconvolgerà la tua vita, come un uragano gonfio di acqua. Alimentato dal tuo mare».

Presa dallo sconforto, aveva acquistato un intero mazzo e si era ripromessa di monitorare il proprio futuro. Intere notti passate a consultare i protagonisti illustrati, a litigare con loro e buttarli per aria, addormentandosi esausta accerchiata dalle sue paure. Inerme.

Come quando ha sperimentato l’amore vero. Lo ha riconosciuto, poi osservato passivamente mentre cambiava forma. Dissolvendosi sino ad alimentare irrimediabilmente il suo incendio interiore. Quegli occhi ancora la tengono sveglia, diventati il simbolo eterno del suo dolore. La solitudine le ha tolto la fame e la sete ed è in quel momento che Sara ha deciso di chiuderlo, il cuore. Il fuoco è un combustibile e, senza il comburente derivato dall’esposizione esterna, sperava che fosse destinato a spegnersi. Non è stato così. I conflitti interni sono catalizzatori perpetui.

Negli anni si è accorta che il senso comune di appartenenza sta, piano piano, lasciando il posto a una condivisione artefatta. Gli schermi nascondono i volti delle persone, il porno camuffa il piacere dell’amore. Sara continua a vivere immersa in dinamiche per lei indecifrabili, sorretta a stento dalla sola forza delle sue idee e dal supporto dell’arte.

La musica come veicolo di sfogo, il cinema di ritrovo collettivo. Ricorda ancora la frase di presentazione del film che sua nonna le fece scoprire da piccola. Arrivano i nostri, diretto nel 1951 da Mario Mattoli: «Nella vita di ognuno l’importante è che, al momento giusto, “arrivino i nostri”. C’è della gente fortunata a cui “i nostri” arrivano tutti i giorni e ce n’è dell’altra a cui sembra che “i nostri” non debbano mai arrivare. Chiaro?»

Ha sempre sperato di non far parte della seconda categoria di persone. Eppure, ancora una volta, si è trovata ad ammettere che la sua teoria si discosta dalla pratica.

Un rumore sordo interrompe il flusso dei suoi pensieri. Salta la luce e, insieme, sobbalza anche lei. Nel buio profondo di questa serata malinconica è impossibile per Sara ostacolare il pensiero di rassegnazione: «Sono sola, adesso. Sono adulta, adesso. Devo arrangiarmi.»

Si muove nell’oscurità della stanza, ancora frastornata dal brusco richiamo al presente. Insomma, sarà semplicemente saltato il salvavita, ma lei non può che vederci un segno: «È ora di trovare la luce e posso farlo anche da sola. Vediamo cos’è successo…».

Recupera un fiammifero, uno di quelli con la testa blu, abbandonato al fianco delle candele ormai sciolte. Ne accende l’estremità e osserva la scintilla trasformarsi in fuoco. La prima reazione di Sara è quella di riconoscere le fiamme emotive con cui era in contatto poco prima. La seconda, quella che scalcia dal profondo, la porta verso una nuova comprensione delle cose. Le immagini del limbo bruciante che la rende martire, acquistano improvvisamente una nuova sfumatura. Un’offerta di potere energetico: un fuoco che brucia, è vero, ma illumina tutto.

«Adesso ci vedo!» Esclama ad alta voce, sorpresa. Come una bambina al suo primo incontro con l’elemento ardente.

Si avvia decisa verso l’interruttore generale, fortunatamente abbastanza vicino a lei da permettere al fiammifero di accompagnarla con il suo barlume. Il bastoncino di legno ha resistito abbastanza. Il calore raggiunge le dita di Sara, che lo lascia cadere a terra con un sussulto: «Ahia, cazzo!».

L’elettricità viene ripristinata e i suoi occhi intercettano il cadavere del fiammifero ai suoi piedi. In quell’angolo dimenticato della casa, un altro oggetto gli tiene compagnia. Il decimo arcano maggiore dei tarocchi: la Fortuna. Rivolta a faccia in su, sembra sorriderle e prometterle, finalmente, “un po’ di buona sorte”.

Mattia Macrì

Creativo. Cant-Autore. Storyteller. Neurodivergente. Mi esprimo in musica da quando l'ho scoperta, ma da prima scrivo storie. Amo qualsiasi tipologia di performance artistica e i meccanismi della mente umana. Il motivo per il quale scelsi di studiare Chimica Industriale spesso ancora mi sfugge.

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