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Kappa FuturFestival 2025: Torino nella Top 10 mondiale

Tra i monoliti rossi e le navate spoglie dell’ex polo industriale Fiat e Michelin ha preso vita, ancora una volta, il Kappa FuturFestival, evento simbolo della club culture europea e punto d’incontro per una comunità elettronica senza confini. Dal 4 al 6 luglio, il Parco Dora si è trasformato in una metropoli sonora a cielo aperto per ospitare la dodicesima edizione del festival, consolidando la sua posizione tra i dieci eventi più popolari al mondo


Nato nel 2009 come omaggio torinese al centenario del Futurismo, il “Kappa” è oggi un palcoscenico metropolitano fluido e imponente, capace di trasformare l’archeologia industriale in un’infrastruttura musicale. A fare da cornice il Parco Dora, uno spazio liminale che in questi anni ha saputo evolvere da area post-industriale a polo futurista nel senso più pieno del termine, poiché dove un tempo si fondeva il metallo, oggi si fonde il suono.

Quest’anno il Kappa ha confermato – e in parte superato – la sua capacità di costruire una vera e propria infrastruttura sonora dentro l’architettura post-industriale del Parco Dora. Sei gli stage, distribuiti in un’area facilmente percorribile anche grazie alla mappa interattiva sull’app ufficiale, fondamentale per orientarsi tra gate, percorsi e orari. La segnaletica digitale e il supporto dell’app hanno reso l’esperienza più fruibile, se pure in una geografia complessa.

Nova e Kosmo Stage accoglievano fin dall’ingresso (rispettivamente accanto ai gate A e B) una selezione eclettica e strumentale. Qui si sono alternati set che spaziavano dall’elettronica sperimentale all’ambient techno, passando per jazz elettronico, synthpunk, dark ambient, IDM, EBM, disco, kraut e industrial. Atmosfere dilatate, ipnagogiche, perfette per un inizio di giornata, per un momento di decompressione tra un set e l’altro e a fine serata. Tra i nomi di punta: Soulwax, Floating Points e Caribou, tutti in live set capaci di ridisegnare i confini tra concerto e clubbing.

Al centro del Parco, il Futur Stage by Jägermeister rappresenta uno spartiacque tra le zone più morbide e quelle a più alto impatto sonoro. È l’unico palco coperto del festival, quello che più si avvicina a un immaginario da main stage, con un cartellone più pop e commerciale. Qui si sono esibiti artisti come Kettama, Folamour, Meduza, Diplo, Joseph Capriati e Peggy Gou. Una line up che punta sull’effetto immediato, mantenendo comunque una buona eterogeneità di proposta.
Alla sua sinistra, incorniciato da un corridoio di tralicci rossi, il Voyager Stage, un palco che ha ospitato leggende come Carl Cox, Nina Kraviz, Anyma b2b Solomun, Boris Brejcha e Charlotte De Witte. Qui si sono alternati acid techno, ghetto house, melodic techno, trance, industrial, progressive: suoni ad alta energia, spesso di impianto europeo, proiettati verso un clubbing totalizzante.

La novità del 2025 è stato il Lab Stage, posizionato di fronte al Voyager, in una zona di passaggio tra l’area più chill e quella più energica. Un palco dedicato all’improvvisazione e all’interazione, frutto della collaborazione con Reply e con il progetto dell’AI Music Contest. Qui, si sono susseguiti set in formato elettro-jam, esperimenti sonori e combinazioni estemporanee.

Il Solar Stage – il più laterale rispetto al Futur, su uno spiazzo sterrato battuto dal sole – si è confermato anche quest’anno come il palco più partecipato e adrenalinico, dove regna la hard techno, senza licenze: casse dritte, bpm sostenuti e una folla compatta che alzava nuvole di polvere a ogni drop. Chi era preparato aveva la bandana sulla bocca; chi no, ballava comunque, viso coperto di terra e sorriso largo.
Dietro al Solar, il VIP Lounge ospitava set dedicati e offriva una prospettiva più raccolta sul festival.

L’impianto complessivo è stato notevole: 7 km di recinzioni, 6 km di fibra ottica, griglie ancorate ai tralicci per ottimizzare l’allestimento. Unica criticità: piccoli ritardi audio su alcuni stage e un sound system non sempre spinto al massimo, che in alcuni momenti ha smorzato l’impatto dei set, soprattutto nei primi slot del pomeriggio.

Un esempio su tutti è quello di Fantasm, secondo in scaletta il venerdì al Solar Stage, il cui set sorprende con una selezione più contenuta del previsto. Il risultato è un live con toni meno dark e meno abrasivi di quanto ci si sarebbe aspettato, forse complice l’orario, forse un impianto ancora non del tutto spinto.
Subito dopo, il b2b tra Airod e Anxhela alza l’asticella: la combinazione tra l’industrial cupo del primo e le venature trance della seconda crea un set bilanciato, stratificato, con slanci acidi che spingono nel profondo. Ma è il b2b tra Cliudy e Novah a lasciare il segno più forte: una performance affilata, istintiva, guidata da Novah che imprime la traiettoria più veloce e trascinante. Il risultato è un’ora intensissima, un climax costante che tiene la folla incollata alla terra e sospesa allo stesso tempo. Senza dubbio, il momento più alto della giornata su questo palco.

Sul Main, Folamour appare fuori fuoco. La sua house, così ricca di accenni alla disco dance, fatica a trovare sintonia con l’ambiente circostante. La proposta è lucida, ben mixata, ma resta ai margini rispetto all’energia dominante. Chiude il venerdì Anyma, ma il live non decolla: produzione impeccabile, certo, ma priva di rischio. Se nel 2024 i visual supplivano all’assenza di slancio sonoro, stavolta manca anche quella componente immersiva. Il set scorre, patinato e pulito, ma senza graffi.

La domenica, uno dei momenti più attesi è il set di Carl Cox, che infiamma il Voyager con il suo classico mix di house, techno e controllo totale della pista. Ma proprio mentre il set si avvia verso il suo apice, qualcosa si interrompe: un ragazzo si arrampica su uno dei tralicci del Parco Dora, costringendo l’organizzazione a fermare tutto. L’intervento dei vigili del fuoco è rapido, la folla resta in attesa, in bilico tra tensione e sollievo. Poteva finire male, per fortuna no.

A seguire, Boris Brejcha prende il timone del palco. Con la sua maschera da giullare e lo stile high-tech minimal che lo contradistingue, costruisce un set fluido, potente, rigoroso. Nessuna sbavatura, nessuna caduta di tensione: un crescendo continuo che conquista la folla metro dopo metro. Il miglior set della giornata.
Charlotte de Witte sale in console subito dopo: il suo impianto sonoro è quello di sempre – acid techno scura, compatta, minimale. Il set è pulito, coerente, ma l’impatto emotivo è trattenuto, come una firma apposta su una superficie ormai nota. Più che conquistare, conferma.

Il secondo momento più coinvolgente arriva al Solar con Patrick Mason. Il suo set è una bomba di bpm: hard techno e house si mescolano senza tregua, ma è la presenza scenica a fare la differenza. La gestualità, la teatralità fisica, il rapporto visivo e corporeo con la pista trasformano la performance in esperienza condivisa. La pista esplode.

Chiude tutto Caribou, con un live che tiene fede alle attese. Tra synth liquidi, sample vocali dilatati e un uso raffinato dei groove, la performance si distingue da tutto ciò che l’ha preceduta. Un momento più sospeso, meno frontale, ma non per questo meno potente. Un altro linguaggio, un altro tempo. Necessario. 

Se questi momenti raccontano la capacità del festival di sorprendere e toccare corde diverse, a conti fatti il Kappa ha affermato la sua forza anche sul piano istituzionale. DJ Mag lo ha appena posizionato al sesto posto nella Top 100 dei festival più amati al mondo per il 2025, migliorando ulteriormente la posizione rispetto al 2024 e confermando il FuturFestival come primo festival italiano in classifica, stabilmente collocato tra giganti internazionali come Tomorrowland, Ultra Miami e Glastonbury.

Un riconoscimento che trova piena conferma nella realtà vissuta al Parco Dora. Nel corso di tre giorni, il Kappa FuturFestival si è confermato all’altezza di tale aspettativa: una volta dentro si penetra una bolla spazio-temporale in cui le regole del quotidiano si sospendono e prendono forma nuove modalità di presenza, espressione, condivisione. Un luogo dove si può essere davvero se stessi – vestiti, svestiti, truccati, mascherati – e dove le energie non si disperdono, ma si amplificano. Tra il pubblico, non solo giovani clubber: anche over sessanta e spettatori con disabilità hanno vissuto il festival pienamente, senza barriere, nel cuore della festa.

È un evento che alimenta connessioni autentiche. Come quella tra Alessandro e Caio, due ragazzi di origine brasiliana incontrati vicino al Voyager: si erano conosciuti l’anno scorso al Solar, e da lì hanno condiviso viaggi, chilometri, storie. Sono tornati insieme al Kappa, camminano tra i palchi come in un rito che si ripete, ma ogni volta si rinnova.

Se tutto questo è possibile, è perché la macchina del festival funziona con una precisione che ha del monumentale. Il Kappa è un ingranaggio enorme ma sorprendentemente fluido, che trasforma un ex spazio industriale in un’esperienza collettiva e profondamente umana. 

Jelena Bosnjakovic

Mix italo-balcanico. Cerco storie tra le frequenze. Può la musica essere un metro di giudizio? Sì, siamo ciò che ascoltiamo.

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