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Come fa Dente sul palco a essere sempre così unico?

Vedere Dente dal vivo è un’esperienza che va oltre le canzoni: il cantautore emiliano conquista il pubblico vestendo un personaggio ironico, surreale, brillante, egocentrico, vanesio, che mette in scena vezzi e vizi dell’artista «leader incontrastato» che gioca a interpretare. Ancora oggi, dopo diciannove anni d’attività, la ricetta resta quella di sempre, eppure è irresistibile come la prima volta. A pochi giorni dall’uscita del suo nono album Santa Tenerezza, abbiamo assistito al concerto all’Hiroshima Mon Amour a Torino


Diciannove anni dopo l’esordio con Anice in bocca, Dente rimane un artista senza eguali per diverse ragioni. In primo luogo le canzoni, che ti attraggono per la leggerezza, l’essenzialità e certe imprevedibili acrobazie linguistiche nelle quali è maestro; soltanto in un secondo momento ti rendi conto del retrogusto amaro, sofferente e talvolta cinico che nascondono in piena vista. 

L’altra unicità, che spesso passa sottotraccia, è la presenza sul palco. Che sia da solo con la chitarra acustica o in full band, riesce comunque a tenere in pugno il pubblico, interpretando ironicamente un certo stereotipo del cantautore con tutti i suoi vezzi e i suoi vizi: egocentrico, vanesio, pieno di sé, altezzoso, lunatico, smanioso di consensi, leader incontrastato anche sopra la sua band. Nessuno come lui riesce a essere brillante nel mettere in scena un personaggio di contagiosa simpatia, al limite tra commedia e realtà, che ci chiediamo fino a che punto corrisponda a certi lati della sua vera personalità. 

Puoi senza dubbio prevedere dove andrà a parare con le divagazioni di ego, eppure ogni volta riuscirà a conquistarti e strapparti un sorriso a trentasei denti prima che tu te ne accorga. Chi segue il cantautore emiliano sa che già all’inizio della sua carriera portava sul palco questa certa… denteness. Ancora oggi è irresistibile, come la prima volta. Come fa?

Vederlo dal vivo, dunque, rimane un piacere sia per le canzoni in repertorio sia per le sue boutade tra l’una e l’altra. All’Hiroshima Mon Amour di Torino, locale in cui il cantautore si è esibito molte volte, il suo concerto è ormai un classico. Questa volta, ad aprire la serata è la cantautrice Anna Carol, che con Dente – al secolo Giuseppe Peveri – ha scritto il brano Invece di stare con te. L‘altoatesina lo presenta insieme ad altri del suo repertorio con un set voce e chitarra e il pubblico la ascolta con interesse: gli applausi non sembrano essere di circostanza, bensì di convinto apprezzamento, che per un opening è un fatto tutt’altro che scontato. 

Con alle spalle una scenografia che riprende la nuvola raffigurata sulla copertina di Santa Tenerezza, Dente sale sul palco insieme al quartetto di musicisti composto da Federico Laini al basso (e alla produzione del disco), Giuseppe Gagliardi alla batteria, Simone Chiarolini alla chitarra e alla tastiera e, nuovo innesto dalla band, Francesco Panconesi al sax e alla tastiera.

Il tour porta dal vivo soprattutto le canzoni della seconda stagione della carriera dell’artista, ovvero quella che parte dal 2020 con l’album omonimo, che ha segnato una piccola svolta tra synth e composizioni più emozionali, per continuare con Hotel Souvenir, che contiene diverse coltellate al cuore memorabili come Cambiare Idea. Anche l’ultimo album si colloca sulla scia dei precedenti, con punte più significative in Corso Buenos Aires, storia di un imprevisto post-rottura di relazione, e Favola, caratterizzata da un sound rock anni ’70/’80 con il sax protagonista. È l’era di un Dente più intimo, che compone sedendosi al pianoforte, che si dedica con cura agli arrangiamenti e non disdegna alcuni featuring – l’ultimo della serie è con Emma Nolde – selezionati tra scena indipendente. 

Non mancano nel mazzo gli assi con cui Dente vince facile: sono le canzoni della prima parte della carriera, come Buon Appetito, Vieni a vivere, Coniugati passeggiare, Baby Building.  Era un Dente bohémien, che viaggiava leggero con la sua chitarra, che inventava acrobazie con le parole: in questo aspetto è stato spesso imitato dalle generazioni successive, rimanendo comunque insuperato. 

Per un’ora e mezza, Dente ci tiene sospesi tra le corde della chitarra e i tasti del piano, tra una battuta fulminante e una canzone triste, tra una frase a metà e una parola che non ti aspettavi, tra un sorriso discolo e uno sguardo birichino, tra le stelle filanti lanciate in A me piace lei e il «faffaraffa-raffarà» di Saldati. La denteness è un campo magnetico di curiosità, sorpresa e fascino che si propaga dalle prime alle ultime file e, probabilmente, fino in fondo al bancone del bar.

Quale sarà la prossima canzone? Cosa dirà tra una pausa e l’altra? Come fa a essere ancora oggi così unico?

 

foto di Martina Caratozzolo

Paolo Albera

Scrivo di musica per chi non legge di musica.

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