È in ottima forma, ha pubblicato uno dei suoi album più belli e viene spesso in Italia perché suona con Alessandro “Asso” Stefana e Zeno De Rossi. La sua voce profondissima, che porta i segni (e i sogni) di una vita di eccessi, presta un poco di vita anche a noi che per gli eccessi non abbiamo la stoffa. È il periodo ideale per vedere Micah P. Hinson dal vivo e non c’è giorno della settimana migliore del lunedì per un fuori programma feriale all’Hiroshima Mon Amour
Di quegli artisti dalla voce profonda, roca, rotta, baritonale, maledetta, segnata da vizi ed eccessi, spezzata da alcool e tabacco — chessò, alla Tom Waits o Mark Lanegan — si dicono frasi fatte del tipo “canterebbe bene persino la lista della spesa”, “canterebbe bene persino l’elenco del telefono”, eccetera.
Quella di Micah P. Hinson mi ha fatto pensare che “emozionerebbe persino il suo fonico”, il quale più di tutti è abituato alla voce con cui lavora ogni sera. Eppure scommetto che appena il cantautore texano si avvicina al microfono e intona i primi versi della prima canzone e fa scaturire la struggente magia d’altri tempi che tutti in sala aspettiamo, persino il duro cuore del fonico si scioglie di emozione, come fosse la prima volta che la sente, come mai gli accade con gli altri centomila artisti con cui lavora. Ecco, ora mi è venuta voglia di cercare chi è il fonico nei suoi concerti.
Non l’ho trovato. Credo non l’abbia neanche detto sul palco. In compenso ha detto chi è che lo accompagna agli strumenti: «This guy is Asso. This guy is Zeno. I never introduced them before so they better be fucking grateful!». Alessandro “Asso” Stefana ha curato la produzione dell’ultimo album I Lie To You e lo accompagna in concerto con banjo, tastiere, chitarra hawaiana. Zeno De Rossi è il batterista, anche lui ha partecipato alle registrazioni dell’album, avvenute in Irpinia su iniziativa di Vinicio Capossela.
Tutti e tre si presentano sul palco dell’Hiroshima Mon Amour in look molto “texano”, con camicia e cappellaccio da cowboy. Qualche dettaglio di Micah – le piume legate al cappello e una collana di perline – potrebbe far pensare alle sue origini native americane della tribù Chickasaw. Nei tatuaggi sul collo si intravede un arco e una freccia che punta sul pomo d’Adamo, ma non sono abbastanza vicino per vedere; magari provo a ingrandire le foto della nostra bravissima Martina Caratozzolo!
Dicevamo: arriva il momento in cui si avvicina al microfono e intona i primi versi della prima canzone. «Wasted days and wasted nights I’ve cried for you…»: la temperatura dell’atmosfera in sala cambia in un attimo. Queste poche parole sembrano già il manifesto programmatico di ogni suo pezzo, album, giorno della vita. La voce è quella di un diavolo redento scappato dagli inferi. Basterebbe l’emozione di questi pochi secondi per ripagarci di essere usciti in un improbabile lunedì sera; altro che wasted nights, la nostra è una serata guadagnata.
Il suo ultimo album è stata per me una grande passione. Era uscito sotto Natale 2022: avevamo appena stilato tutte le solite classifiche dei migliori album dell’anno, ma con l’arrivo di Micah P. Hinson non valevano più niente, dovevamo rifare tutto. L’ho ascoltato per un bel po’ di tempo; penso che quasi quasi passo al banchetto merch e mi compro il vinile.
«Ho pensato a una storia. C’era un nonno e un nipote. Vanno a camminare nel bosco. “Dove andiamo nonno?”, “Non ti preoccupare, seguimi”. Camminano, camminano, camminano. “Dove stiamo andando nonno?”, “Non ti preoccupare, seguimi”. Camminano, camminano, camminano. “Mi fanno male le gambe nonno!”, “Non ti preoccupare, seguimi”. Camminano, camminano, camminano. “Nonno bast***o figlio di pu****a ora basta io mi fermo qui!!!”. “Questo per me è un problema”. “Perché?”. “Perché dovrò tornarmene indietro da solo”». Questo è un esempio di cose che dice Micah tra un pezzo e l’altro. Altre volte racconta episodi della sua vita, sempre con un sarcasmo tagliente e vagamente surreale. Altre volte improvvisa di sana pianta per riempire il tempo di accordare la chitarra. È adorabile anche quando non canta. Chi capisce l’inglese ridacchia, chi non lo capisce lo impara.
Un po’ tutti ci aspettiamo che a un certo punto accenda la sua sigaretta di rito, aspirata col bocchino con la sua maldestra eleganza, come spesso gli piace fare. Eppure – clamoroso! – per tutto il concerto non fuma mai. Tra le struggenti ballate come Ignore The Days, il ruspante country di There’s Only One Name, la mia canzone natalizia 2022 Please, Daddy (Don’t Get Drunk This Christmas), il lugubre blues Digging The Grave e tante altre, avrebbe tutti i più validi motivi per fumare e fumare e continuare a fumare, ma incredibilmente completa il concerto in piena salute. O quasi: durante l’ultimo imprevisto encore torna sul palco con in mano una sigarettina, ma non la accende nemmeno.
E quindi Micah P. Hinson è in forma, ormai sembrano molto lontani gli aneddoti di concerti deliranti e imprevedibili cui qualcuno ha assistito. Uscendo dall’Hiroshima incontro tante persone, mi fermo a parlare, molti c’erano nell’ultimo concerto a Torino un annetto fa. Mi ricordo del mio intento di comprare il vinile, vado al banchetto merch, ma nel frattempo sono andati tutti esauriti. Peccato. Beh, vuol dire che è andata bene, no?
Il concerto di Micah P. Hinson è stata la prima data dell’Hiroshima Sound Garden, la rassegna estiva che apre lo spazio verde del locale di Via Bossoli 83. La programmazione continua con Cristina Donà & Saverio Lanza il 6 giugno e tanti altri fino a settembre.