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Qualcuno ha rubato la mia elettricità: breve viaggio all’interno dell’egg punk

svg22 August 2025CocciStorieBrando Ratti

Se, passati i trent’anni, per voi il punk è ancora fatto solamente di creste, pantaloni in tartan, spille da balia conficcate nelle guance e testi à la Exploited, allora potete saltare a pie’ pari questo articolo. Se, al contrario, siete in grado di apprezzare la mutabilità di questo bellissimo genere e la sua capacità di adattarsi ai tempi, allora l’Egg Punk potrebbe essere quello che fa per voi


«Colui che attende una rivoluzione pura non la vedrà mai…». Con queste parole Vladimir Lenin, nel 1916, attaccava l’eccessivo purismo che alcuni membri del movimento bolscevico nutrivano nei confronti dell’insurrezione irlandese avvenuta pochi mesi prima. Per quanto né Lenin né gli stessi bolscevichi della prima ora fossero dei grandi appassionati di musica punk – sicuramente per impedimenti cronologici e non attitudinali – questa massima insegna che, molto spesso, le contaminazioni sono pressoché inevitabili e che, nella maggior parte dei casi, la sfrenata ricerca della purezza, oltre che impossibile, è una «cagata pazzesca». Molto di più della Corazzata Potëmkin.

Fin dai suoi primi anni di vita, il punk ha dimostrato una tale capacità di adattamento e di sopravvivenza da far invidia alle tartarughe del tardo Triassico: provocatorio negli anni ’70, rabbioso negli anni ’80 e commerciale nei ’90, questo genere ha saputo attraversare i vari periodi storici riuscendo sempre, in un modo o nell’altro, a raccontarne gli eventi. Questa capacità è stata perfettamente mantenuta anche da quella che, dal 2015, si sta configurando come un’ altra interessantissima evoluzione del genere: l’egg punk.

Leggendo all’interno dei meandri del web, c’è chi fa risalire la nascita di questo genere all’anno 2013, c’è chi lo considera un’evoluzione diretta di quella roba incredibile suonata dai DEVO e c’è chi ritiene che questo genere debba ancora nascere ufficialmente.

L’unica cosa certa è un meme con il famoso volto di Peter Parker pubblicato nel 2017: nella parte alta, è rappresentato il chain-punk, erede dei Discharge e caratterizzato dalla presenza di catene, borchie, mazze chiodate, iconografia BDSM, teschi e rose dalle spine appuntite. Nella parte bassa, invece, troviamo simboli della pace psichedelici, disegni di Keith Haring, clown e pure un uovo al tegamino in bella mostra. Questo è l’egg punk, un genere che non mira a prendersi troppo sul serio e che si contrappone alla pesantezza e alla violenza testuale tanto cara al cugino borchiato. Gli eggpunkers, infatti, sembrano essere più interessati al lato artistico e provocatorio del punk, trasmettendo un’ironia che mira più a farsi beffe della società circostante piuttosto che a voler distruggere brutalmente tutto e tutti.

Nonostante la sua leggerezza, però, l’egg punk è perfettamente in grado – come tutto il punk – di raccontare la società. Nato all’interno delle chat room americane, il genere racconta l’apatia giovanile, le delusioni amorose, il fatto che le birre costino troppo, la presenza di caimani neri pronti a sbranare qualsiasi cosa li circondi, la voglia di far fuori tutti gli sbirri che vogliono impedire le feste in spiaggia e le case squattate da un gruppo di robot sballati. Metafore sociali che descrivono un’epoca e lo stato d’animo di una generazione che ha scelto di raccontarsi attraverso un genere nato con l’intento di provocare e di far impallidire la borghesia impellicciata in fissa col tè delle cinque.

Questa provocazione non è solo a livello testuale – anche perché, molto spesso, i testi sono pressoché incomprensibili ed interpretabili – ma anche a livello musicale: attitudine DIY, synth sparati a mille, drum machine, charleston in sedicesimi, voce nasale e robotica che si fonde con un punk-rock tiratissimo e veramente lo-fi. L’influenza dei DEVO è chiaramente mastodontica ma, per fortuna, lascia molto spazio alla sperimentazione dando così vita a decine di band che, pur suonando in modo simile, differiscono nei particolari.

Tra i gruppi che meritano di essere segnalati per approdare a questo bellissimo sottogenere, oltre a quelli reperibili su Wikipedia o sui vari siti dedicati, troviamo gli australiani Tee Vee Repairmann, gruppo originalissimo che propone una sorta di garage-surf-punk robotico condito da sintetizzatori acidi come l’aceto scaduto che danno quell’accenno di malinconia che non fa mai troppo male. Da Barcellona arrivano invece i Prison Affair, un gruppo realmente pazzo caratterizzato da un hi-hat a 100 all’ora, una voce bassissima, un organetto distorto e un pene antropomorfo che caratterizza tutte le copertine delle loro demo. Meritano menzione anche i Pensioner solo per la cover di Commando dei Ramones eseguita in chiave fuzz-punk e cantata da una voce che ricorda molto C-3PO. L’ultimo nome è quello dei geniali e italianissimi Yonic South – il cui gioco di parole non ha certo bisogno di essere spiegato – che «nati da una sega di John Dwyer alla guida di una Picasso, in cerca di un kebabbaro, strafatto di Twix e San Miguel» suonano una roba stranissima che, quando ha voglia, alterna stacchetti arabeggianti con sonorità garage lo-fi e spaziali senza utilizzare né synth, né tastiere. Da segnalare la cover di All The Small Things dei Blink 182, ribattezzata All The Small Twix che potrebbe davvero fare concorrenza all’originale.

In ogni caso, per chiunque volesse approcciare il genere, sono presenti delle ottime playlist su Spotify, tra cui – la migliore – EGG PUNK (the eggiest) che vanta 42 ore e 9 minuti di riproduzione.

Se fosse nato molto prima, probabilmente l’egg punk avrebbe caratterizzato le colonne sonore dei film sci-fi degli anni ’80 accompagnando i viaggi intergalattici delle astronavi dirette verso galassie sconosciute. Ma se fosse nato molto prima, probabilmente il punk stesso avrebbe seguito un altro corso degli eventi. Godiamoci quindi questo incredibile viaggio in tranquillità, apprezzandone o meno i contenuti stilistici ma riconoscendo al punk stesso l’estrema capacità di adattarsi al tempo. Proprio come le tartarughe del Triassico.

Brando Ratti

Classe 1990, nasco e cresco a Massa, patria della Farmoplant ma anche dei genitori di Piero Pelù. Dottorando, ho un certo feticismo per le sottoculture, la musica underground, i filosofi presi male, i videogiochi presi bene, i film brutti e i libri belli. Nonostante il cognome, ho paura dei topi.

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